Non dovrebbero essere assunti con contratto, quindi, da liberi professionisti convenzionati, continueranno a fare un po’ quello che vogliono. Tra cui assentarsi e lasciare scoperte le esigenze dei pazienti. Secondo le fonti di True-News.it interne al ministero, la mancata assunzione dei medici generali da parte del Servizio Sanitario Nazionale potrebbe far saltare il progetto delle Case di Comunità. Speranza, dunque, resta fermo e blocca una riforma nata già fallita nonostante l’Europa, alla luce del Recovery Fund, chieda all’Italia di rivedere le loro regole d’ingaggio.
Le Case di Comunità e la necessità di assumere i medici
Con i fondi del PNRR, sono a disposizione della sanità 7 miliardi di euro da spendere in 5 anni per cambiarne il modello il cui perno sarà rappresentato dalle Case di Comunità. Strutture che riuniranno in un unico presidio di quartiere medici di famiglia, specialisti, infermieri e assistenti sociali. La Casa di Comunità, attrezzata di punto prelievi, macchinari diagnostici per gli esami e le infrastrutture informatiche del caso, insieme al team multidisciplinare, dovrà offrire assistenza dalle 8 alle 20. Il servizio notturno sarà garantito dalla presenza della guardia medica.
Ma per far parte di questo progetto, i medici di famiglia dovrebbero cambiare la loro posizione contrattuale. Al momento, risultano liberi professionisti convenzionati: il loro operato è disciplinato da accordi collettivi sottoscritti dalle rappresentanze sindacali e dalla Conferenza Stato-Regioni. L’accordo attualmente in vigore prevede che lo studio debba essere aperto cinque giorni a settimana e il numero di ore dipende dal numero di assistiti: va dalle 5 ore settimanali fino a 500 pazienti, alle 15 ore per 1.500 assistiti, numero massimo consentito.
Ma le regole dovranno cambiare per accedere ai fondi del PNRR e rifondare la sanità territoriale attraverso le Case di Comunità. I medici, come chiede anche l’Europa, devono essere assunti dal SSN. Da parte, loro, però si registra una netta opposizione. Gli scorsi 1 e 2 marzo molti di loro, appartenenti al Sindacato medici italiani (Smi) e il Sindacato italiano medici del territorio (Simet) hanno indetto uno sciopero in cui i camici bianchi hanno denunciato la necessità che vi siano più medici sul territorio. Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), in un’intervista a La Verità, ha definito le Case di Comunità “involucri e strutture murarie”. Per Anelli il problema “è che “resta inalterato il fabbisogno dei professionisti che dovrebbero attestarsi in 1 medico ogni 1.000/1.300 assistiti”. E vede una possibile soluzione nel “poter consentire più agevolmente ai diplomati e ai medici di medicina generale di entrare realisticamente nel mondo del lavoro, snellendo la burocrazia e le lunghe attese”.
Contrario alla formula dell’assunzione anche Fiorenzo Corti, Vicesegretario nazionale FIMMG, la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale. Intervenuto a true-news, affermava che “il medico di famiglia non può essere impiegatizzato. La proposta di alcuni Presidenti di Regione, tra cui non la Lombardia, di garantire l’assistenza nelle case di comunità attraverso un rapporto di tipo dipendente rappresenta una criticità per i medici”. Per Corti il medico è un libero professionista e deve restare tale. E poi aggiunge: “Va considerata l’enorme difficoltà, non solo per gli ospedali di trovare medici e infermieri, ma anche per i sindaci di reclutare medici di famiglia: ciò significa che assistiamo a una inappetibilità della professione che va sempre di più verso il prestazionismo. Il rapporto del medico con i primi cittadini e con gli enti territoriali è invece decisivo perché solo unendo medicina a vocazione sociale si possono ottenere dei risultati”.
Insomma dai medici arriva un no all’assunzione, l’Europa, però, la chiede per poter attivare le Case di Comunità con i fondi del Recovery Fund. E Speranza non fa che bloccare una riforma già fallita in partenza.
Le proposte della Commissione Salute delle Regioni
A Roberto Speranza la Commissione Salute delle Regioni ha presentato, sul finire del 2021, un corposo documento che “si pone l’obiettivo di rivoluzionare la medicina di base puntando ad un sistema basato sulla dipendenza o in alternativa la realizzazione di una sorta di accreditamento ma con requisiti e standard molto precisi che gioco forza possano limitare la natura libero professionale di medici e pediatri”. Il nuovo modello permetterebbe al sistema di affrontare nel migliore dei modi le problematiche emerse durante la pandemia quando alla grande domanda di assistenza medica non rispondeva un’altrettanto elevata offerta di medici di base. Che, in quanto non assunti ma liberi professionisti, possono assentarsi quando vogliono. Una situazione costata cara durante la fase più acuta della pandemia ma che rischia di pesare anche in questo periodo di deflessione dei contagi.
Nell’incipit del documento, pubblicato da Quotidiano Sanità, le Regioni evidenziano poi come la pandemia, ha messo in luce “ulteriormente che il profilo giuridico del Medico di Medicina Generale e dei Pediatri di Libera Scelta come liberi professionisti e i loro ACN, non sono idonei ad affrontare il cambiamento in atto, anche pensando alla gestione delle multi-cronicità, aumento delle fragilità, programmazione dell’assistenza domiciliare, ecc..”. E a supporto della tesi gli Enti locali evidenziano come sia sufficiente “ricordare che gli accordi nazionali sottoscritti a sostegno delle azioni delle regioni per fronteggiare la pandemia (intesa sull’effettuazione dei tamponi, delle vaccinazioni, ed in alcune regioni utilizzo dei test rapidi) hanno prodotto scarsi risultati”.
Gli Enti locali hanno presentato al Ministero della Salute 4 proposte: la dipendenza, la forma di Accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN, la forma di accreditamento e accordi (tipo Privato-Accreditato). E, infine, un doppio canale, una sorta di formula mista che comprende dipendenza e accreditamento da realizzare con modifica sostanziale di ACN.