La Serie A ha salutato stappando uno spumante di quelli buoni la notizia che Amazon è intenzionata a scendere in campo nella guerra per i diritti tv del prossimo triennio. In epoca di pandemia e di vacche magre, tutti quelli che vogliono portare soldi in un sistema ormai sull’orlo dell’asfissia sono benvenuti, soprattutto se aiutano i dirigenti del calcio italiano a rompere il monopolio Sky (ora candidato partner anche in caso di nascita del canale autonomo della Lega stessa). Tutti felici e… scontenti, però. Perché il modello Amazon, che serve oggi a tappare i buchi aperti dalla crisi, non è detto che sia il modello ideale di domani. Il motivo lo ha spiegato in tempi non sospetti il dirigente di più larghe visioni che risponde al nome di Andrea Agnelli, numero uno della Juventus e della potente Eca, l’associazione che raggruppa i club europei.
Amazon, Netflix e gli altri, ha spiegato Agnelli, “sono operatori con i quali noi società non veniamo a conoscenza del comportamento del cliente finale e la disintermediazione è utile quando elimina un terzo (operatore ndr) e permette di andare direttamente al cliente finale per sapere chi è, cosa mangia, quando dorme e tutto il resto”. Tradotto: Amazon e gli altri useranno il calcio come cavallo di Troia per entrare ancora più nei device e nelle case degli italiani, ma raccoglieranno e useranno quella massa di dati per implementare il proprio business e non quello delle multinazionali del pallone. Che sognano, invece, un futuro in cui tv, giornali, siti e piattaforme siano solo clienti marginali perché la profilazione sarà diretta. E un tifoso arriverà a considerare Juventus, Inter, Milan e tutte le altre compagnie di entertaiment e commerciali prima ancora che squadre di calcio. L’era delle media company è solo l’inizio. Amazon va bene per chiudere una falla, ma per fare l’ultimo passo bisognerà sbarazzarsene in fretta.