“Diciamo no all’etichettatura Nutriscore: fa scomparire i formaggi e la tradizione dai nostri piatti, ignorando i principi della Dieta Mediterranea, la più sana al mondo“. Una campagna social in difesa di Parmigiano Reggiano, Mozzarella di Bufala Campana, Gorgonzola e altri prodotti caseari made in Italy è stata lanciata in questi giorni da Afidop, l’Associazione dei Formaggi Italiani Dop, insieme a vari Consorzi di Tutela.
Al centro ci sono 10 piatti iconici italiani, di cui il formaggio è l’ingrediente distintivo, dalla caprese con la Mozzarella di Bufala Campana agli spaghetti al pomodoro con il Parmigiano Reggiano, fino al risotto al Gorgonzola. Ora, a trent’anni dalla nascita del marchio Dop, “rischiano di scomparire a causa dell’etichetta a semaforo sui formaggi certificati“, la cosiddetta Nutriscore.
Che cos’è l’etichetta Nutriscore
Che cos’è innanzitutto l’etichetta Nutri-Score, sulla cui eventuale introduzione si discute da tempo in Europa (la decisione è attesa per giugno)? Si tratta di un sistema di etichettatura ideato in Francia per semplificare l’identificazione dei valori nutrizionali dei prodotti alimentari. Si basa sull’utilizzo di due scale correlate: una cromatica divisa in 5 gradazioni, dal verde al rosso (da qui l’idea dell’etichetta “a semaforo”), ed una alfabetica comprendente cinque lettere, dalla A alla E. A sviluppare il sistema, i ricercatori universitari del gruppo EREN (Equipe de Recherche en Epidémiologie Nutritionnelle, guidato dal nutrizionista Serge Hercberg.
Formaggi ed etichetta Nutriscore: ecco i prodotti a rischio
A finire nel mirino del Nutriscore, secondo Afidop, sarebbero in particolare questi prodotti: Asiago, Gorgonzola, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Parmigiano Reggiano e Pecorino Romano. Il rischio è che l’etichetta Nutriscore li classifichi “a semaforo rosso”, scoraggiandone l’acquisto da parte dei consumatori. Il consumo andrebbe invece raccomandato tenendo conto di un’alimentazione complessivamente sana, basata su menu equilibrati e stili di vita corretti.
I consumatori e l’etichetta Nutri-Score
A far scattare l’allarme è stata anche un’indagine di Ipsos per l’Osservatorio Waste Watcher International sull’effetto del Nutriscore sul comportamento dei consumatori: per 3 persone su 4 le informazioni nutrizionali in etichetta possono influenzare le scelte nel carrello e 4 su 10 cambierebbero i consumi in seguito ai colori apposti sulle etichette
“No alle etichette basate su quantitativi di riferimento scollegati dalle abitudini di consumo nella dieta quotidiana – dichiara il presidente di Afidop, Antonio Auricchio, a proposito del Nutri-Score -. Sono strumenti fuorvianti, che svalorizzano l’immagine delle Dop e disincentivano il consumo dei nostri piatti banalizzando i valori nutritivi dei nostri prodotti. Sosteniamo informazioni corrette e complete al consumatore per un’alimentazione sana ed equilibrata e proprio per questo ci uniamo a quanti, in Italia e in Europa, ritengono il Nutri-Score un sistema ingannevole ed esortano il decisore pubblico a fare muro contro l’attuazione di questa proposta“.
“A rischio anche la cacio e pepe”
Fa sentire la sua voce in questa battaglia anche la Coldiretti Lazio: “Sono a rischio tutti i prodotti di eccellenza del Lazio: il Nutriscore penalizza prodotti salutari come l’olio di oliva, considerandolo meno sano della Coca Cola, o quelli caseari e tradizionali, sia Dop che Igp e Ig, favorendo prodotti industriali di minore qualità“. Secondo l’organizzazione degli imprenditori agricoli, il Nutriscore non terrebbe conto della complessità della dieta mediterranea e delle abitudini, alimentari e non, delle diverse regioni dell’Ue. “Cancellerebbe i piatti tipici della nostra tradizione come la cacio e pepe, che secondo il sistema di etichettatura dovrebbe essere senza pecorino romano, perché considerato non salutare”.
E ancora: “Se il Nutriscore venisse approvato dall’Unione Europea – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – sparirebbero dalle tavole le eccellenze locali che caratterizzano i nostri territori e, con loro, la storia e le tradizioni che li accompagnano“.
Latte, in Sardegna la protesta dei pastori: “Siamo in ginocchio”
Un rischio che si aggiungerebbe alla già difficile situazione del settore, che vale il 5 per cento del Pil (quasi mezzo miliardo di euro) e conta 12 mila aziende per un totale di 50 mila occupati. Qualche settimana fa è riesplosa la protesta dei pastori sardi a tre anni dalla “guerra del latte”. La tregua siglata nel 2019, da cui è scaturito un incremento del prezzo pagato agli allevatori, è finita. “Oggi la situazione è anche più grave di quella che si viveva allora – ha dichiarato Gianuario Falchi, portavoce dei pastori indipendenti, come riportato da Il Sole 24 Ore -. Diciamo pure che è drammatica perché l’effetto calmierante del prezzo del latte, che in qualche caso ha superato un euro a litro, è stato cancellato dagli aumenti che riguardano mangimi e concimi, gasolio ed energia elettrica”.
A questa crisi si aggiungono i problemi provocati dalla siccità e non solo: “Non abbiamo più soldi per dare da mangiare alle greggi e non c’è nessun segnale da parte della politica e sindacati per chiedere lo stato di calamità naturale. A questo dobbiamo aggiungere poi gli incendi e la lingua blu (malattia virale dei ruminanti, ndr)».