Ed eccoci all’ennesimo farlocco procedimento di una Procura italiana che parte da un esposto di una delle associazioni che difendono i consumatori. E che rischia di finire con un nulla di fatto. La ratio è sempre la stessa: associazioni come Codacons o Federconsumatori, presentano un esposto, la procura competente (o quasi, come vedremo) avvia un’indagine contro compagnie di grande spessore e piene di soldi, come quelle petrolifere o le agenzie di rating, e poi tutto finisce con assoluzioni o nel dimenticatoio.
La nuova inchiesta sul caro carburanti
L’ultima ad averla aperta, su esposto del Codacons, è quella di Roma che, alla luce dei rincari dei prezzi di carburanti, gas e energia elettrica, ipotizza il reato di “Manovre speculative su merci”. Secondo i magistrati, “è stata messa in atto a speculazione in modo da determinare il rincaro “sul mercato interno” del costo delle fonti di energia”. Il reato è previsto dal codice penale che lo punisce con una pena da sei mesi a tre anni di reclusione e sanzioni da 516 fino a 25.822 euro. Spetterà ora alla guardia di finanza effettuare gli accertamenti necessari per arrivare a verificare se il repentino aumento dei prezzi sia stato causato da una strategia concordata, una sorta di “cartello” delle aziende del settore. L’inchiesta rimane ancora contro ignoti.
Anche l’Antitrust, nei giorni scorsi, ha richiesto informazioni alle maggiori compagnie petrolifere con l’obiettivo di «approfondire le ragioni degli aumenti e, nel caso, valutare la sussistenza di spazi per un possibile intervento». Tale intervento scatterebbe però solo nel caso si ravvisassero gli estremi di una violazione delle norme in materia di abuso della posizione dominante o di intese restrittive della concorrenza.
Il Codacons, da parte sua, esprime soddisfazione per il passo in avanti dell’indagine romana e promette che continuerà la battaglia. Se fosse accertata la presenza di illeciti, l’associazione annuncia “una maxi class action per conto di milioni di consumatori e imprese danneggiati dai rincari“.
L’inchiesta del 2013 contro le sette sorelle
E non è la prima volta che i magistrati puntino il dito contro i giganti del petrolio partendo da esposti del Codacons. Nel 2013, sette compagnie petrolifere, Shell, Tamoil, Eni, Esso, Total Erg, Q8 e Api, finirono sotto inchiesta dalla Procura di Varese. Fu la prima volta in Italia. I reati ipotizzati erano simili a quelli dell’odierna inchiesta romana: manipolazione fraudolenta dei prezzi sul mercati dei carburanti attraverso azioni speculative su merci e truffa.
Come riporta prealpina.it, la Guardia di Finanza, su delega del sostituto procuratore Massimo Politi, passò al setaccio tutte le documentazioni relative alle forniture di carburante da parte delle sette grandi compagnie petrolifere per verificare se vi fossero manovre speculative ai danni degli automobilisti. In poche parole, se vi fosse un oligopolio a dettare le condizioni di mercato in sfregio al principio di concorrenza. Un’inchiesta che fece scalpore.
L’allora Gip del Tribunale di Varese, Giuseppe Battarino, definì “pertinente” la fondatezza dell’indagine. In cinque fitte pagine di decreto su istanza di sequestro aveva tracciato un quadro accusatorio robusto e ancorato al 501 bis del codice penale, e 640, secondo comma, dello stesso: manovre speculative sulle merci e truffa aggravata. Il giudice Battarino, nel provvedimento, aveva parlato di «artifici e raggiri» posti in essere dalle “sette sorelle” per mantenere elevato il prezzo del carburante, vanificando così quella concorrenza, sul territorio nazionale, che avrebbe fatto scendere il costo alle pompe. L’inchiesta passò, poi, per competenza a Roma. Ma non se ne è saputo più nulla.
I bluff dei magistrati di Trani
Un altro grande bluff arrivò nel 2013 dagli ambiziosi magistrati della Procura di Trani, in Puglia, già noti per inchieste finite nel nulla come quella sui legami tra autismo e vaccini a quello sulle pressioni di Silvio Berlusconi per far saltare il programma Annozero di Michele Santoro. In quel periodo, reduci dalla crisi dei mutui sub-prime negli Stati Uniti con conseguenti problemi nei mercati europei più deboli, il pm Michele Ruggiero, su denuncia dei presidenti di Adusbef e Federconsumatori, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, aveva messo nel mirino le agenzie Standard & Poor’s. Per l’accusa, le due agenzie statunitensi, avrebbero “posto in essere “una serie di artifici”, tanto nell’elaborazione quanto nella “diffusione” dei rating sul debito sovrano italiano, “concretamente idonei a provocare” la “destabilizzazione dell’immagine, prestigio e affidamento creditizi dell’Italia sui mercati finanziari; una sensibile alterazione del valore dei titoli di Stato italiani e un indebolimento dell’euro”. Sotto accusa, secondo la Procura di Trani, era in particolare il doppio declassamento del debito sovrano dell’Italia operato da S&P il 13 gennaio 2012. Il processo arrivò al primo grado di giudizio. Ma il collegio dei giudici non accolse nessuna delle accuse della magistratura: assoluzione con formula piena per tutti gli imputati.
Ancora una volta, una spesa di soldi pubblici, per un procedimento contro big del settore finanziario o petrolifero finito con un nulla di fatto.