Sono oltre 35mila i profughi ucraini arrivati in Italia, secondo gli ultimi dati del Viminale. Un numero destinato a crescere visto il prolungarsi del conflitto tra Ucraina e Russia. Molti di loro, soprattutto medici e sanitari, lavoreranno al servizio dei propri connazionali. E’ questo il progetto del Centro Medico Santagostino di Milano, un’idea che può estendersi anche ad altri ambiti.
Medici ucraini nello staff del Santagostino
“Tra di loro – spiega a true-news.it Luca Foresti, CEO della struttura – molti non parlano né inglese né inglese. C’è innanzitutto un problema di comunicazione. All’interno di questo gruppo di profughi, ci sono sicuramente medici e infermieri. Probabilmente saranno donne perché dall’Ucraina partono perlopiù loro con i propri figli. L’idea del Santagostino è di mettere gli ucraini al servizio degli ucraini. Nel nostro caso parliamo di servizi medici e legati alla salute”. La logica di far lavorare gli ucraini per i loro connazionali mi sembra si possa estendere a numerosi altri ambiti oltre a quello sanitario. “Noi avremo bisogno anche di attività di comunicazione. E solo gli ucraini profughi capiscono la loro lingua. Quando ci si da una mano, ci sembra che si debba farlo nella maniera più sensata possibile anche per aiutare i Comuni che sono già in difficoltà per l’accoglienza”.
Il decreto di Speranza
Del resto la possibilità di far lavorare medici e professionisti sanitari ucraini in Italia è stata ufficializzata nel decreto «Misure urgenti per l’Ucraina» pubblicato nella Gazzetta del 21/3. “È consentito – si legge nel documento – l’esercizio temporaneo delle qualifiche professionali sanitarie e della qualifica di operatore socio-sanitario ai professionisti cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24/2/22 che intendono esercitare nel territorio nazionale, in strutture sanitarie pubbliche o private, una professione sanitaria o socio sanitaria in base a qualifica conseguita all’estero regolata da direttive Ue». Le strutture sanitarie interessate possono procedere al reclutamento temporaneo di tali professionisti, muniti del Passaporto europeo delle qualifiche per i rifugiati, con contratti a tempo determinato o con incarichi libero professionali, anche di collaborazione coordinata e continuativa, in deroga all’articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Le strutture sanitarie, si precisa nel decreto, «forniscono alle regioni e alle province autonome, nonché ai relativi Ordini professionali, i nominativi dei professionisti sanitari reclutati ai sensi del presente articolo”. Provvedimento accolto di buon grado anche dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri: “Siamo grati al Governo per aver previsto, proprio per il rispetto che si deve alla dignità umana, la possibilità anche per i professionisti sanitari che arrivano in Italia di poter svolgere qui la loro attività – sottolinea il presidente, Filippo Anelli. Questo ci può essere utile nei confronti dei profughi ucraini che non parlano la nostra lingua e che potranno essere anche visitati o curati dai loro medici, qualora ne arrivassero”.
La polemica di Galli
Ma non tutti sono contenti. A partire dalle critiche dell’infettivologo Massimo Galli, ben noto per le sue continue analisi della pandemia: “Dal punto di vista strettamente giuridico, con tutta la solidarietà e la simpatia per i colleghi costretti a scappare dalla propria casa, permettere l’esercizio della professione solo ai sanitari ucraini è una cosa che non sta in piedi”, ha affermato il professore all’Adnkronos, denunciando il fatto che tale opzione non sia invece consentita “ad altri che arrivano, sempre da profughi, da altri Paesi”. Per l’infettivologo, non ci possono applicare due pesi e due misure: “Se lo stato di profugo implica la possibilità dell’esercizio della professione, o vale per tutti o per nessuno”.