La sentenza riguarda un prof di chimica e la sua “illecita” attività extra-moenia ma potrebbe rivoluzionare l’intero sistema della sanità privata. Dove sono numerosi i medici, assunti dalle Università e dagli Istituti di Ricerca, che svolgono attività di liberi professionisti. E non occasionalmente.
La storia del prof-consulente
La Corte dei Conti della Lombardia ha condannato, in primo grado, un docente al risarcimento all’Università della somma percepita per i lavori di consulenza extra-moenia. Professore al Dipartimento di chimica, materiali e ingegneria chimica del Politecnico di Milano, l’uomo, fuori dalle aule, svolgeva numerose attività di consulenza. E per aziende di primo piano come Hitachi Rail, Luxottica, Marzotto, Pirelli&C, Pirelli Tyre, Ansaldobreda Spa, Edison e Edipower Spa, Tamoil, il Consorzio dell’alta velocità Emilia-Toscana, Bridgestone, Snam Rete gas, Leonardo Spa, Ferragamo, nonché per l’Ilva di Taranto in amministrazione straordinaria. Per queste aziende ha ricoperto il ruolo di Consulente tecnico di parte in numerosi procedimenti amministrativi, civili, ma soprattutto penali, davanti al Tar e ai Tribunali di Milano, Torino, Cremona, Capua. Consulenze, svolte nel periodo tra il 2012 e 2016, che gli sono valse 1.649.006 euro che avrebbe, secondo la sentenza, dovuto riversare nelle casse del Politecnico essendo assunto come professore a tempo pieno.
La procura: “Attività oltre il limite dell’occasionalità”
Ma una denuncia-relazione della Guardia di Finanza del 2019 ha fatto scattare le indagini della Procura che ha accertato il carattere extra-moenia delle attività del prof-ingegnere. “La procura – si legge dalle carte della sentenza -ha sostenuto che “il docente — previa acquisizione della Partita Iva — avrebbe esercitato, ben oltre il limite dell’occasionalità, una attività libero-professionale (21 fatture nel 2012, 19 fatture nel 2013, 21 fatture nel 2014, 19 fatture nel 2015, 26 fatture nel 2016)». L’ex professore, attraverso i suoi legali, ha costruito una linea di difesa sostenendo che i suoi lavori per le aziende, “sostanzialmente riconducibili a Consulenze tecniche di parte nell’ambito dei relativi procedimenti giurisdizionali, risulterebbero pacificamente ammissibili, atteso in particolare che non avrebbero richiesto l’iscrizione ad un albo professionale, sarebbero state espletate con carattere occasionale ed in forma non organizzata e non avrebbero conseguentemente determinato l’espletamento di “attività libero professionale”.
La sentenza: “Attività di consulente incompatibile”
I giudici, però, non hanno tenuto conto della difesa. Rilevando l’incompatibilità tra l’attività di docente e quella di consulente. Dalle pagine della sentenza, i giudici, presieduti dal Antonio Marco Canu, hanno evidenziato come “l’attività di consulente, per la sua obiettiva consistenza e rilevanza, abbia inequivocabilmente assunto i caratteri dell’attività libero-professionale, come tale incompatibile con lo status di professore universitario a tempo pieno”.
Tremano i medici con attività extra-moenia
La sentenza è pronta a fare giurisprudenza. E richiama quindi all’ordine i prof-furbetti ma anche tutti coloro che nella sanità privata si dividono tra lavoro a tempo pieno in Università e enti di ricerca, e consulenti limiti dell’occasionalità. Due carriere assolutamente incompatibili. Non è in frequente, infatti, che gli assunti dalle università e dagli istituti di ricerca facciano anche consulenze. Un tema che si lega al fallimento della riforma di Speranza secondo cui il Ministero avrebbe assunto con contratto i medici di base evitando quindi, che da liberi professionisti convenzionati, continuassero a fare un po’ quello che vogliono. Tra cui assentarsi e lasciare scoperte le esigenze dei pazienti. Secondo le fonti di True-News.it interne al ministero, la mancata assunzione dei medici generali da parte del Servizio Sanitario Nazionale potrebbe far saltare il progetto delle Case di Comunità. Speranza, dunque, resta fermo e blocca una riforma nata già fallita nonostante l’Europa, alla luce del Recovery Fund, chieda all’Italia di rivedere le loro regole d’ingaggio.