di Francesco Floris
Partite le consultazioni del Presidente Mattarella per trovare una rapida soluzione – come promesso dal Quirinale, qualunque essa sia – alla crisi di governo romana e alla fine del Conte-bis, uno dei punti interrogativi è di certo la sanità. Che fine faranno il ministro Roberto Speranza e i due vice Pierpaolo Sileri e Sandra Zampa? Tritati dall’allargamento della maggioranza a pezzi di opposizione? Oppure da larghe intese? Alcuni elementi ci sarebbero anche. A cominciare dalla bagarre che a tappe regolari piove sul ministero della Salute per l’affaire sul piano pandemico italiano non aggiornato ed il report dell’Oms presentato e ritirato in 24 ore. Bagarre che a più riprese ha fatto litigare i tre massimi inquilini del ministero: Speranza, Sileri e Zampa con il jolly di Ranieri Guerra dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in mezzo, nel ruolo di funzionario potente e di altissimo livello da difendere, di caprio espiatorio, o di “imputato” eccellente. Valutazioni via-via diverse a seconda di chi prendeva la parola a mezzo stampa. Le ultime rivelazioni, fresche di poche ore, parlano di una grave sottovalutazione del Coronavirus nella fasi iniziali dell’emergenza, da parte del dicastero con sede sul Lungotevere. Sottovalutazioni fotografate dai verbali e dai documenti riservati della task force che Report ha mostrato non più tardi di lunedì scorso. E che dimostrano come dal 5 gennaio – primo alert dell’Oms che chiede di attivare i piani pandemici per l’influenza – fino al 19 febbraio (ricovero del paziente 1 di Codogno) non è stata presa alcuna decisione. Materiale per una resa dei conti, anche interna, ci sarebbe. Ma probabilmente sono più i rischi che i vantaggi. Far fuori (metaforicamente) il ministro della Salute in piena pandemia significa due cose: ammettere politicamente che sono stati commessi degli errori non più perdonabili. Così avremmo la doppia situazione di Roma e Milano, Governo e Regione Lombardia, che dopo essersi “combattute” sulla gestione dell’emergenza, entrambe accompagnano alla porta i due uomini più rappresentativi dell’emergenza stessa: Gallera da una parte, Speranza dall’altra. Poi vi sono i motivi tecnici. Cambiare un ministro, pandemia o meno, non è un pranzo di gala, per usare uno slogan nelle corde di un ex comunista come Speranza. Significa mettere le mani nella struttura e nelle “stanze dei bottoni”: un vero repulisti significherebbe andare a toccare la segreteria del ministro incarnata da Massimo Paolucci, Federica Zaino, Stefano Lorusso. Stesso discorso per l’Ufficio del Gabinetto. E perché no, i tecnici delle task force; i consulenti più o meno informali chiamati in corso d’opera come Andrea Crisanti. Farlo quando ancora non si sa come e quando si uscirà dal Covid, nel pieno della campagna vaccinale che deve diventare generalista, mentre si assiste a ritardi sulla consegna delle dosi dei vaccini per accordi non firmati dall’Italia ma dalla Commissione europea (avvisare di ciò il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, potrebbe già essere un passo in avanti), e mentre sulla sanità piovono i miliardi di euro del Recovery Plan e Pnnr, a patto di saperli usare, potrebbe non essere una grande idea. Per carità, le rivoluzioni inattese a sinistra piacciono anche per il loro valore simbolico. C’è da capire quali nemici interni indosseranno il colbacco per affollare la Piazza Rossa. Affollare? Con un metro di distanza.