Riaffermare il ruolo dell’Italia come fedele alleato degli Usa nel quadro della rivalità con la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina e guardare al proprio futuro professionale: Mario Draghi il 10 maggio si recherà alla Casa Bianca, ospite di Joe Biden, per un obiettivo istituzionale e uno strettamente personale. E se l’idea di un Draghi segretario della Nato appare remota, ben più forte la possibilità che “Super Mario” possa essere nel 2024 il prossimo presidente della Banca Mondiale.
Draghi, l’Americano
Di fronte a Joe Biden Draghi si presenterà come il leader più graniticamente atlantista tra quelli di vertice dell’Unione Europea. L’affinità tra il banchiere figlio dei Gesuiti e del Massachussets Institue of Technology e lo Zio Sam è antica e studiosi di peso come Giulio Sapelli hanno, in tempi non sospetti, sottolineato il ruolo decisivo di Washington nell’ascesa di Draghi alla Banca centrale europea nel 2011. Altrettanto legata alla necessità di riaffermare la posizione atlantica dell’Italia la chiamata ad opera di Sergio Mattarella a Palazzo Chigi del febbraio 2021.
E ora nel quadro di una crisi che ha visto il più forte allineamento di Draghi a Biden nell’ultimo anno, si cominciano a delineare le tessere del mosaico. A Roma la notizia è già corsa per diversi corridoi politico-istituzionali: Draghi punta alla Banca Mondiale e il viaggio a Washington servirà come accreditamento. Esaurita la spinta propulsiva dei primi mesi di governo, iniziate le mediazioni con la politica quotidiana, fallita la corsa al Colle, iniziata una crisi logorante fondata su inflazione, boom dell’energia e frenata della ripresa che rischia di logorare l’esecutivo, in piena maretta la maggioranza Draghi sente la necessità di svestire i panni di “nonno al servizio delle istituzioni”. E quale migliore chiamata di quella che può provenire da Oltre Atlantico? Già nel 2021 Draghi, allettato da Palazzo Chigi, rifiutò la poltrona prestigiosa di presidente di Goldman Sachs.
Draghi, identikit perfetto per la Banca Mondiale
Ora la prossima finestra utile si aprirà nel 2024: in quell’anno Biden, che si troverà nell’ultimo anno di mandato, dovrà per prassi indicare la preferenza di Washington per la presidenza di un’istituzione chiave nell’architettura finanziaria internazionale, oggi guidata dal Repubblicano David Malpass, ex capo economista di Bearn Steams scelto da Donald Trump nel 2019. La Banca Mondiale, in sostegno al Fondo Monetario Internazionale, gestisce prestiti ai Paesi in via di sviluppo e di fatto supervisiona l’aderenza del rientro dei debiti di quelli oggetto di maggior sorveglianza dal Fmi alle logiche di mercato proprie degli States. Una visione che ben si sposa con quella di “Mario l’Americano”, in una fase in cui per altre poltrone strategiche la strada sembra sbarrata.
In Europa nel 2024 si rinnova la Commissione Europea ma, come ricordato da Dagospia, la corsa di Draghi alla presidenza è azzoppata dalla furiosa reazione nei suoi confronti che Emmnauel Macron e Olaf Scholz avrebbero avuto dopo i ripetuti allineamenti al fronte della fermezza contro Vladimir Putin. “L’abito da turbo-europeista, proprio quando il bisogno dell’UE è diventato incalzante (cioè con lo scoppio della guerra in Ucraina), ha lasciato il posto a una divisa a stelle e strisce”, secondo la testata fondata da Roberto D’Agostino. Per la Nato, invece, un profilo più politico e, soprattutto, una figura dell’Est Europa antirusso sembrano essere quelli più adatti all’identikit cui Washington guarda. La Banca Mondiale, se affidata per la prima volta a un europeo, garantirebbe a Washington di poter rivendicare l’unità del campo occidentale e la generosità degli States. E quale miglior figura di un tecnico indubbiamente competente e ferreo atlantista come Draghi?
Un premier alle strette a Palazzo Chigi
Del resto, il 14 aprile scorso, sempre citando fonti di Palazzo Chigi, Dagospia sottolineava che “Draghi è” in questa fase “deluso e insofferente per le rogne nella maggioranza, che tra il fisco e il catasto gli pestano i calli ogni due per tre, e non vede l’ora di togliere il disturbo”, impossibilitato a farlo adesso per la situazione di guerra. “Dopo le elezioni del 2023 saluterà senza rimpianti palazzo Chigi e la politica italiana. Magari, se la guerra finisce, pure a ottobre di quest’anno (con i peones in mano il vitalizio). E chissà che a quel punto qualcuno i suoi amici di Washington non trovino per lui un impegno più stimolante. E pure meglio retribuito”.
La Banca Mondiale appare perfetta per l’identikit del premier. Il quale volerà a Washington guidato da un mix di interesse nazionale e interesse personale. Sulla scia di una perenne ambiguità di un Paese in cui le relazioni internazionali dei leader non sempre si sono sovrapposte con la politica estera di Roma. Specie quando a gestirle è un “alieno” come Mario Draghi. Più a suo agio nei salotti finanziari a stelle e strisce che nel complesso mondo politico romano.