di Francesco Floris e Pietro Bullian
Per l’Autorità dell’Energia stanno pagando le famiglie italiane ma ci guadagnano le imprese. Per associazioni dei consumatori e think tank indipendenti è l’esatto opposto: il mercato libero offre condizioni vantaggiose – a patto che si sappia cercarle – ai clienti domestici e alle grandi imprese energivore ma colpisce nel portafoglio le pmi italiane che costituiscono la spina dorsale e produttiva del Paese. Chi ha ragione?
Liberalizzazione: una rivoluzione durata 20 anni
Non è ancora completata quella che gli addetti ai lavori definiscono una “rivoluzione” che già s’intravede qualche frattura. La rivoluzione è quella della liberalizzazione totale del mercato di energia elettrica e gas e che giunge alle sue fasi finali sovrapponendosi a un’altra rivoluzione che è (o dovrebbe essere) in corso: quella per la transizione energetica “green”. Dal primo gennaio 2021 tutte le imprese fra i 10 e i 50 dipendenti e il fatturato compreso tra i 2 e i 50 milioni di euro si devono scegliere un operatore di mercato. Lo stesso vale per le famiglie che hanno tempo però fino al 2022. Un mercato ricco e che fa gola a molti: solo quello domestico vale in Italia 30 milioni di contatori di cui ancora 15 milioni si trovano sotto la “maggior tutela”, la tariffa bloccata stabilità dall’Autorità per l’Energia (Arera) e che fra poco più di un anno sarà solo un ricordo. È la fine di un percorso iniziato nel 1999 con l’ingresso nel mercato dei primi operatori privati. Poi reso stabile nei primi Duemila recependo le direttive comunitarie Ue sulla concorrenza e infine nel 2007 quando si è stabilito che anche i clienti domestici potevano esercitare il diritto di scelta. In questi 20 anni si sono moltiplicati gli operatori e le società attive nel settore.
Bye bye “maggior tutela”
L’ultimo censimento fotografa 723 operatori che si occupano di vendita a clienti liberi. Per intendersi erano 426 nel 2018 quelli registrati da Arera all’anagrafe degli operatori nei mesi in cui l’Autorità stilava la relazione sul mercato retail. Dal 2008 a oggi per il mercato del segmento domestico la liberalizzazione è stata una cavalcata trionfale: partendo da poco più di zero clienti a quell’anno si è arrivati a 15 milioni a fine 2019. Con tassi di “switching” in crescita anno dopo anno. Nel 2019 15 clienti ogni 100 fra quelli sotto la tariffa “a maggior tutela” hanno scelto di fare il passaggio. I volumi di vendita segnalano lo stesso trend: costante crescita in dieci anni per il mercato libero (+2,4 per cento nell’ultimo anno) e dall’altra contrazione per il regime tutelato (meno 10,2 per cento). Il perché di questo travaso? Oltre alle leggi che sanciscono un’ora X per i clienti finali, la grande promessa è quella di un aumento della concorrenza, la fine di monopoli o oligopoli – spesso legati ai contesti territoriali – e la diminuzione di tariffe e bollette già oggi appesantite dagli oneri che servono per la transizione energetica.
La versione di Arera
Una voce questa che, secondo l’audizione del Presidente di Arera, Stefano Besseghini, alla Commissione Industria del Senato lo scorso 6 ottobre, vale circa 12 miliardi di euro. Soldi che servono a supportare le fonti rinnovabili e fra i quali sono conteggiate le agevolazioni a sostegno delle imprese energivore e che hanno diritto ad uno sconto sulla componente tariffaria per circa 1,5 miliardi di euro. Sconti pagati da parte degli altri utenti non energivori, inclusi quelli domestici come le famiglie. Altri 2 miliardi di euro vengono incassati per promuovere l’efficienza energetica e per coprire obiettivi di politica sociale, come il bonus per le famiglie economicamente disagiate che dal 2021 diverrà automatico incrociando i dati con l’Inps. Sono voci che pesano sulle bollette degli italiani. La liberalizzazione dovrebbe avere un effetto benefico portando a prezzi ancora più bassi del regime tutelato. Sta funzionando? Quando si prova a rispondere iniziano i guai o, forse, ci vuole soltanto del tempo prima di poter dare una risposta definitiva.
Ref ricerche: “Pagano le pmi, sconti sul domestico”
“Sul domestico il mercato libero ha offerto possibilità di risparmio alle famiglie come lo ha sempre offerto alle grandi industrie energy intensive” spiegano Samir Traini e Federica Piazza, analisti di settore del think tank Ref Ricerche. Secondo loro chi per ora ha pagato dazio sono invece le piccole e medie imprese allacciate in bassa tensione: “Dal 2011 non ha mai funzionato e per loro non c’è stato risparmio perché non è maturato quel livello di concorrenza e trasparenza con offerte mirate che permettessero la discesa dei prezzi”.
L’analisi delle tariffe
Il prezzo della componente energia è variato nel 2020 tra il 36% e il 46% del costo totale della bolletta, mentre gli altri costi sono rimasti pressoché invariati. Nel periodo più buio del lockdown, a fronte di un calo del prezzo medio della componente energia del 36%, il costo della bolletta per la famiglia italiana è calato del 18%, esattamente la metà.
Dall’inizio della transizione (2007 il primo step, vera crescita nel secondo decennio del secolo) il prezzo della componente energia è rimasto comunque ancorato alle dinamiche delle materie prime, in particolar modo il gas naturale, che è la fonte fossile principale per la produzione di energia elettrica nel nostro paese. In altre parole, il ritorno del prezzo del gas naturale ai livelli di fine 2019 registrato in questo inizio 2021, ha riportato il prezzo medio della componente energia rilevato da Arera sui medesimi livelli pre-pandemia. Per dirla con uno slogan: la concorrenza c’è, ma non si vede.
La concorrenza c’è ma non si vede
Parliamo di un mercato a bassissima marginalità, dove la possibilità di incidere sul costo finale da parte dell’operatore è ridotta essenzialmente a pochi fattori: organizzazione; abbattimento costi di struttura attraverso l’online e la gestione remotizzata delle bollette e del cliente; cross-selling con la spinta alla vendita di prodotti collegati via internet; marketing: capacità di far percepire al consumatore il risparmio eventuale.
La liberalizzazione di un mercato altamente regolamentato e “ingessato” come quello dell’energia elettrica non avrà alcun effetto paragonabile ad altre liberalizzazioni di servizi, consegnando più o meno al consumatore un mercato dai costi simili a quelli che ha sempre pagato. Un mercato più libero, non meno caro e più complicato. Una rivoluzione mascherata. Un aspetto più interessante sulla fine degli oligopoli locali che la liberalizzazione potrebbe portare (scenario abbastanza eventuale ma comunque non impossibile) è la fine delle costose multiutility locali, che sono delle cash-cow per gli enti locali alla disperata ricerca di cassa.
I numeri dei consumatori
L’andamento dei prezzi che Altroconsumo, la storica associazione dei consumatori, mette a disposizione di True-News parla di offerte molto competitive sul mercato. In particolare “le offerte online sono le più convenienti in termini di prezzo” anche perché “attivabili dal sito del provider e prevedono una gestione totalmente digitale della fornitura, le bollette elettroniche e la domiciliazione obbligatoria”. Sono questi i caratteri distintivi che permettono di comprimere i costi finali per gli utenti. L’anno della pandemia mondiale ha offerto delle sorprese: dall’inizio di aprile 2020 si è registrato un forte crollo anche nelle offerte del mercato libero. Si è passati infatti da un prezzo medio pari a 0,06 € per kilowatt/ora per le offerte sottoscrivibili nell’ultimo trimestre 2019 (prima del Covid) a 0,045 €/kWh di media nel secondo trimestre 2020 cioè nel pieno del lockdown italiano, con consumi domestici spinti al massimo da quarantene e smart working e il sistema Paese che faceva registrare un crollo a causa delle chiusure forzate delle imprese: meno 25,3 per cento sui consumi complessivi.
Conveniva passare sotto lockdown
Nella sostanza per una famiglia conveniva siglare un nuovo contratto con un nuovo operatore sotto lockdown. L’unica nota critica che segnala Altroconsumo verso la liberalizzazione del mercato è che vige un “livello di complessità molto elevato, che va superato affinché i benefici della concorrenza siano fruibili da tutte le classi di consumatori”. Una complessità aumentata da quando una serie di operatori dell’energia e delle telecomunicazioni hanno deciso di “sposarsi” temporaneamente per portare nelle case degli italiani un servizio unico, una bolletta unica su tutte le utenze necessarie dentro l’abitazione (luce, gas, internet e telefonia). Sulla carta un modo di fare economia di scala e semplificare la vita a cittadini e consumatori. Nella pratica si rischia di raggiungere un livello di complessità dei contratti che potrebbe portare a delle brutte sorprese: “Vanno analizzate volta per volta per verificarne la convenienza economica rispetto alle soluzioni separate – spiega da Altroconsumo un team di persone che segue questa evoluzione del mercato – ma è sempre importante prestare attenzione a eventuali vincoli di permanenza e alle caratteristiche della connettività disponibile presso la propria abitazione”.
Con tutti i distinguo e le avvertenze del caso, i dati di Ref Ricerche e Altroconsumo convergono su un punto: il mercato conviene alle famiglie; conviene alla grandi imprese che drenano anche la maggior parte delle risorse destinate a creare un nuovo mondo “green”; mentre a pagare lo scotto, per ora, sono le pmi.
Arera contro tutti
Chi mette in dubbio questa “narrazione” e, anzi, sostiene l’opposto? Proprio Arera. Su due passaggi. Nella relazione sul mercato retail del 2018 si legge che se “tra il 2012 e il 2016 la dinamica concorrenziale è stata tale da permettere agli operatori medio-piccoli e piccoli di entrare e crescere sul mercato libero, erodendo le quote di mercato anche dei principali operatori a livello nazionale”, dall’altra “negli ultimi due anni tali operatori sembrano non riuscire ad esercitare una pressione concorrenziale efficace”. Come se la corsa verso una maggiore concorrenza si fosse a un certo punto bloccata. Sui prezzi l’Autorità segnala invece nell’ultima relazione annuale del 2020 (che non tiene conto dell’anno in corso) che per i clienti domestici i diversi fornitori fanno registrare un +26 per cento medio rispetto alla tariffa del mercato regolato e bloccato. Tanto che il Presidente Stefano Besseghini nella sua relazione in Parlamento ha lanciato un grido d’allarme: “Possiamo dire che il mercato libero rappresenta la quota prevalente del mercato retail dell’energia con prezzi più bassi per i non domestici, mentre sono più alti (+26%) per i domestici. Serve un intervento Arera ancora più forte per le famiglie verso il libero. Nuovi obblighi di qualità contrattuali, di servizio, ma anche per trasparenza”.
Come sia possibile una tale diversità di vedute è oggetto di discussione. Di certezze non ve ne sono ma almeno due motivi saltano agli occhi. Se le associazioni dei consumatori segnalano convenienza nelle offerte contrattualizzate su internet da operatori che risparmiano sui costi di gestione del cliente (bollette mail, accredito Sepa, gestione del contratto da remoto, customer care leggeri) e che, dati alla mano, presentano i pacchetti sottoscrivibili online più competitivi addirittura della “tutela” in tre dei quattro trimestri del 2019, Arera segnala però come la popolazione italiana, forse anche per l’età media, sia poco propensa a questo tipo di gestione: “Il successo delle offerte online tra le famiglie resta molto limitato – si legge nella relazione 2019 – solo il 4,4 per cento dei clienti (corrispondente al 4,2 per cento dell’elettricità acquistata nel mercato libero) ha sottoscritto un contratto offerto attraverso questa modalità. Il risultato è comunque superiore a quello del 2018, quando il 3,3 per cento delle famiglie aveva scelto di sottoscrivere un’offerta di energia elettrica attraverso internet”. Tradotto: le offerte più competitive disponibili in un certo momento (magari a scopo promozionale per qualche mese) non vengono scelte da una larga parte della platea.
Ma soprattutto bisogna considerare che il dato Arera contiene la totalità dei prezzi applicati nel mercato italiano. Sia rispetto alle offerte presenti sul mercato, sia rispetto alle offerte già operative – quelle cioè più “vecchie” applicate alle utenze magari da anni, ma non più sottoscrivibili da nessuno – e di cui oggi è difficile conoscere i prezzi in bolletta proprio perché non esistono più. Pesano nella media totale registrata da Arera ma sono fuori dai radar del mercato.