di Francesco Floris
Il caso è già finito sulla stampa internazionale come esempio virtuoso. Moderna e Uber, vaccini e trasporto privato, che firmano una partnership intorno al ruolo delle vaccinazioni contro Covid-19. Un servizio di transfer gestito dalla nota piattaforma californiana per chi deve andare all’appuntamento. Per la prima dose o per il richiamo del vaccino Moderna. In Usa è realtà. In Italia? Facciamo un’ipotesi ben più che realistica: uomo, 79 anni, sano ma con difficoltà a deambulare, vive da solo in val Camonica e non ha l’auto. È il suo turno del vaccino. Per sua fortuna non deve recarsi all’ospedale più vicino (a 30 chilometri) ma nella farmacia del paese a cinque chilometri di distanza che si è attrezzata per la conservazione e la somministrazione delle dosi dopo l’accordo siglato fra Regione Lombardia e Federfarma per le fasi 2 e 3 della campagna. Esempi identici in tutta Italia: entroterra sicuro, oppure le Murge lucane, l’Appennino ligure. Come vanno queste persone a farsi vaccinare? Perché no, in taxi, risponde Pierluigi Petrone, il presidente di Assoram, l’associazione nazionale degli operatori Commerciali e Logistici della farmaceutica. “Si va a valorizzare la necessità di una persona con problemi di disabilità, cronica o temporanea, e una categoria di lavoratori privati che esercitano un pubblico servizio fra quelle che più stanno pagando la crisi economica e che avendo pagato una licenza dal Comune di appartenenza potranno respirare un po’ di ossigeno” dice Petrone a True Pharma lanciando l’idea mutuata dall’accordo Moderna-Uber e che peraltro non riguarda direttamente gli associati di Assoram che invece si occupano di distribuzione farmaceutica.
Come fare? “Queste categorie si muovono tramite applicazioni, andrebbe stabilita una tariffa ad hoc per persone senza la possibilità di muoversi e va capito chi è il pagatore: la farmacia stessa, l’Asl, l’azienda farmaceutica oppure una compartecipazione di spesa fra i vari soggetti”. Di certo è fattibile e con il giusto preavviso la nuova modalità potrebbe rendere più efficiente il tracking; può meglio gestire il flusso di persone verso le farmacie evitando assembramenti e in funzione della capacità di somministrazione (numero di dosi ogni ora), la capacità di stoccaggio e la presenza numerica di operatori dediti alla campagna vaccinale. Soprattutto nelle realtà piccole, la provincia italiana. E infine renderebbe possibile mettere in atto un meccanismo di chiamata, contatto attivo e prenotazione dello spostamento verso l’utente da vaccinare.
Farmacie e logistica, una lezione della pandemia
Chi ha detto che deve finire con la pandemia? Se è vero che tutti parlano di rafforzare la medicina territoriale, questo è un passaggio che non può fare a meno dei farmacisti oltre che del medico di base. “La logistica farmaceutica può tornare al centro” dice Petrone andando a toccare più da vicino ciò che riguarda invece le aziende del settore che lui rappresenta. “Possiamo fare il replacement, continuo e costante, dei punti di somministrazione per quelle che non hanno uno spazio adeguato a temperatura controllata anche se ciò sarà possibile solo con i vaccini come quello di AstraZeneca e similari che dal un punto di vista delle caratteristiche sono più maneggevoli”. Del resto tutto questo già avviene. Fatte le 100 consegne di prodotti farmaceutici oggi la torta è così suddivisa: 48 in ospedale, 26 vanno in distribuzione intermedia ai grossisti, 24 in farmacia con fatturazione diretta all’azienda e il resto, ridotto, online. Quest’ultimo da vedere come muterà alla luce della dematerializzazione delle ricette.
“Si potrebbe entrare in una nuova era della distribuzione farmaceutica – chiude Petrone – ma credo che tutto ciò sia oggi perfettamente applicabile con la legge sulla farmacia dei servizi approvata ormai da dieci anni: non fa altro che riprendere ulteriormente il valore della farmacia, del farmacista e della logistica farmaceutica. Se è vero che, come molti dicono, il Covid ci cambierà per sempre, sfruttiamo l’occasione per farlo al meglio”.