Il nuovo presidente della CEI, il cardinale Matteo Zuppi, ha annunciato l’avvio di un’indagine sugli abusi nell’infanzia interni alla Chiesa cattolica italiana. Si tratta di un’inchiesta che il femminismo cattolico (e non solo) chiede da tempo e che finalmente arriva sulla spinta delle indagini svoltesi in alcuni paesi europei. Ci sono però degli aspetti che lasciano insoddisfatti.
Un inchiesta non indipendente
L’inchiesta, infatti, sarà interna, non affidata a una commissione indipendente e quindi al di sopra delle parti. Inoltre prenderà in considerazione unicamente i centri di ascolto diocesani, i cui referenti sono nominati dalle diocesi e quindi appartengono all’istituzione ecclesiastica. Questo metodo d’inchiesta esclude tutti i casi di abuso che non sono stati segnalati all’interno delle diocesi.
Rimane così – come evidenzia il Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa cattolica italiana – un “auto monitoraggio della chiesa su se stessa, lasciando indifferente il problema e eventuali soluzioni”. Il report, la cui pubblicazione è prevista per il novembre del 2022, sarà rivisto da un «centro accademico di ricerca» di cui non è stata rivelata l’identità.
Solo i casi dal 2000
In aggiunta l’inchiesta considererà solo i casi che vanno dal 2000 al 2021. I recenti rapporti sorti in Europa affondano le proprie radici ben più indietro nel tempo: quello francese (il rapporto Sauvé) analizza gli episodi che risalgono al 1945, quello spagnolo al 1943. La scelta di non considerare gli abusi antecedenti al 2000 è vista come molto problematica dalle persone survivor, che hanno cioè vissuto in prima persona tali eventi violenti.
“Una soluzione gattopardesca e davvero poco civile” commenta infatti Rete l’abuso, che si occupa specificatamente del contesto cattolico italiano “quella della chiesa italiana, prima al mondo a livello di Conferenza Episcopale a fare un enorme passo indietro, proprio nel paese dove invece ci si immagina sia la più efficiente, e invece nega pubblicamente verità giustizia per i sopravvissuti, quasi reclamando il ‘diritto all’abuso’”.
L’associazione Meti: servono i dati
L’associazione Meti, che dà sostegno a persone adulte che hanno subito abusi durante l’infanzia, rimarca la necessità di delineare un quadro preciso del fenomeno: “Una raccolta dati adeguata e dettagliata sugli abusi sessuali su bambini ed adolescenti serve per capire che il fenomeno esiste ed è un problema sistemico e radicato all’interno della società, questo grazie al silenzio che lo circonda e alle strutture sociali patriarcali che involontariamente lo sostengono. Attraverso i numeri possiamo uscire da narrazioni soggettive ed entrare in racconti oggettivi e constatare non solo l’esistenza di un problema ma cominciare a creare soluzioni per arginalo.
Avere dei dati aiuta a capire come è strutturato questo tipo d’abuso, come cambia con il tempo e renderci conto che non è un problema insidiato solo in alcuni ambienti, ma una realtà che tocca tutto il tessuto sociale. Nella Chiesa abbiamo una totale mancanza di dati che non validano l’esistenza di questo fenomeno. Semplicemente non lo fanno esistere, lo nascondono sotto il tappeto, invalidando la persona abusata, facendola scomparire. Ci auguriamo che queste nuove inchieste possano cominciare a rendere visibili le vittime che hanno subito questo trauma”.