I tifosi della Juventus hanno vissuto male la fine della stagione sportiva della loro squadra del cuore: finale di Coppa Italia persa contro l’odiata Inter e quarto posto (con ingresso Champions League) recuperato di rimonta, ma stando ben lontani dallo scudetto che in casa bianconera è di famiglia. Bilancio da bocciatura che si trasformerà in stroncatura a fine giugno, quando si tirerà una linea anche sul conto economico previsto in perdita a tre cifre anche se non arrivando a toccare il -210 milioni di euro da record del 2021. Un disastro in cui c’è qualcuno che sorride, apparentemente senza una spiegazione se non nei meccanismi del mercato finanziario.
La Juventus dei passivi e delle sconfitte sul campo guadagna in borsa
La Juventus che macina passivi di bilancio e delusioni in campo ha guadagnato, infatti, nel mese di maggio 2022 la bellezza del 30% in Borsa, avvicinandosi rapidamente ai massimi dell’anno che erano stati registrati a gennaio, alla chiusura del calciomercato invernale dell’acquisto di Vlahovic e del ritorno della speranza di qualificazione alla prossima Champions League con ricavi da almeno 80 milioni garantiti. Perché da marzo in poi il titolo Juventus abbia ripreso a crescere (era arrivato al minimo di 0,27 per azione e oggi vale 0,40) risponde a logiche non calcistiche e, forse, nemmeno industriali perché nel frattempo il club di Andrea Agnelli ha intrapreso un lento e difficile ritorno all’equilibrio finanziario senza, però, garanzie di tornare a vincere dopo due stagioni deludenti e nemmeno di smetterla di chiedere capitali alla proprietà dopo i due maxi aumenti da 700 milioni di euro in un paio di anni.
Inutile che i club calcistici siano in Borsa?
Se si è sostenitori dell’inutilità e della pericolosità della presenza in Borsa dei club calcistici, la Juventus (ma non solo) ne è la conferma. Succede anche altrove, ma in Italia il segnale è più marcato. I Friedkin stanno cercando per la seconda volta in pochi mesi il delisting della Roma, azienda che brucia cassa e costringe a innesti di una decina di milioni al mese per garantire la continuità: uscire da Piazza Affari aiuterà ad avere le mani più libere per inseguire il risanamento. La Juventus non ha in programma di ritirare le azioni sul mercato e del resto non ne avrebbe nemmeno necessità, visto che l’ultimo aumento di capitale è stato sottoscritto complessivamente dal 92% degli azionisti – non solo Exor – e da lì in poi il titolo a ripreso a crescere.
E dunque? La lezione è che il calcio in Borsa è un pessimo affare per chi immagina di avvicinarglisi con l’animo del tifoso che vuole partecipare alla vita della propria squadra del cuore. Chi è entrato all’inizio e avesse ancora in mano le azioni, ha perso e non poco. Diverso è il ragionamento su cicli temporali più ridotti. Sempre restando alla Juventus, ad esempio, nel 2018 fu sufficiente l’idea che l’acquisto di Cristiano Ronaldo garantisse non solo vittorie sportive ma un business plan aggressivo in area commerciale, per far volare il titolo ai massimi storici. In tre mesi (giugno-settembre 2018) la Juventus aveva incrementato la propria capitalizzazione del 170% salendo da 0,45 a 1,23 per azione. A mettere mano al portafoglio non semplici tifosi entusiasti, ma investitori che avevano annusato l’aria immaginando una progressiva crescita dimensionale dell’azienda.
Cosa serve perché la Juventus torni a volare a Piazza Affari?
Cosa è accaduto da lì in poi è noto. La Champions League è rimasta un sogno, il progetto sportivo si è avvitato su se stesso anche per errori manageriali mentre il Covid ha provveduto a spazzare via quasi tutte le altre linee di ricavo. La Juventus, che si era abituata a fare utili (49 milioni di euro tra il 2015 e il 2017), vincendo scudetti a ripetizione e investendo sul mattone (Stadium e Continassa) ha cominciato a caricarsi di debiti e a bruciare denaro fino allo spaventoso -210 del 2021 che ha convinto Exor a cambiare i vertici, Andrea Agnelli escluso. La Borsa ha semplicemente fatto da specchio della situazione. Lo scoppio della pandemia ha visto crollare del 50% in due settimane il valore del club (da 0,99 a 0,48 per azione) e da lì in poi l’andamento è stato a onde corrispondenti alle cattive notizie di bilancio e alle speranze di campo. Se è vero che nell’ultimo mese il titolo ha preso il 30%, allargando la visuale al semestre (-4,5%) e all’ultimo anno (-35%) il quadro cambia. Cosa serve perché la Juventus torni a volare a Piazza Affari? Visto che gli operatori sono soliti ragionare in anticipo sugli eventi, e la speranza di successi in campo sposta poco perché incide relativamente sui potenziali ricavi, la conclusione è che Agnelli e gli Elkann debbano riuscire a trasferire l’idea di un piano industriale aggressivo, che proietti la società oltre quello che è stata nell’ultimo decennio in cui è cresciuta tanto arrivando, però, a sbattere contro una sorta di tetto di cristallo rappresentato dall’ecosistema declinante del calcio italiano.
Nell’ultimo triennio l’unica fiammata riconoscibile nella lunga onda è stata l’annuncio della nascita della Superlega con un lunedì in Borsa da cuori forti (+20%) gelato poi dal crollo del progetto. Può non piacere ai tifosi romantici, ma la football industry funziona così.