Per anni Aarav Chavda, esperto sub, ha praticato immersioni al largo delle spettacolari coste della Florida, finché gradualmente si è accorto che i pesci colorati e le barriere coralline stavano scomparendo. Il motivo? Il proliferare del pesce leone, noto anche come pesce scorpione o scorpena volante: una specie originaria del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano, molto invasiva, che si sta diffondendo rapidamente nei mari atlantici, dalla Florida ai Caraibi fino al Brasile, ma anche nel Mar Mediterraneo, Italia inclusa.
Pesce leone: perché è pericoloso
Il pesce leone, bello e colorato, ma pericoloso, devasta gli ecosistemi diversi dal proprio habitat, perché non ha predatori naturali: entro cinque settimane dall’adesione a un sistema di barriera corallina riesce a uccidere circa il 79% della giovane fauna marina.
Come risolvere il problema? A Chavda ed altri compagni sub attenti all’ambiente è venuta l’idea di fondare Inversa, un’azienda che trasforma la pelle del pesce leone in un nuovo materiale, destinato alla realizzazione di borse, scarpe, portafogli e cinture. Il team di questa startup è stato anche nominato tra i nove finalisti della Global Ocean Resilience Innovation Challenge (Oric) in occasione della recente Giornata mondiale degli oceani. La pelle viene trattata, utilizzando sostanze chimiche essiccanti, e poi colorata, prima di essere venduta ad aziende di moda di fascia alta. Una pelle sottile, ma più resistente di molte altre, perché ricca di fibre.
Secondo Chavda, la scomparsa di un solo pesce leone può preservare fino a 70.000 pesci nativi della barriera corallina, portando un indubbio beneficio agli habitat che ora sono in pericolo. Un’idea che può anche alleggerire l’industria di produzione di pelli animali tradizionali, che richiede pascoli estensivi su vaste distese di prati, erodendo i suoli ed emettendo livelli significativi di anidride carbonica.
Pelle di pesce leone: una catena di produzione sostenibile
La startup Inversa non dà direttamente la caccia al pesce leone, ma collabora con la comunità di pescatori locali perché siano loro a diventare parte della catena produttiva, specialmente nell’area caraibica a basso reddito, dove questa specie sta rovinando le barriere coralline che supportano i mezzi di sussistenza delle cooperative di pesca, senza che venga fatto qualcosa per risolvere la situazione.
“Per i pescatori locali in questo momento andare a caccia di pesce leone significa perdere tempo prezioso, che viene sottratto alla pesca di cernie o aragoste”, spiega Aarav Chavda.
Così Inversa prevede di creare cooperative di pesca ben attrezzate a Quintana Roo, in Messico, finanziando l’acquisto di attrezzature ed offrendo incentivi premium e pagamenti tempestivi per il pesce leone. Un impegno in campo sociale, quindi, oltre che ambientale, motivo per cui la startup è piaciuta ai giudici della Global Ocean Resilience Innovation Challenge.
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