Si fa un gran parlare della rivoluzione copernica della politica italiana dopo l’uscita Di Maio dal Movimento 5 Stelle. Mentre la stampa è ancora alla prese con la definizione della figura di Di Maio, sospesa tra il bibitaro delle origini e lo statista del futuro, è forse il caso di valutare l’impatto concreto della sua fuoriuscita. Arrivederci 5 stelle, ma adesso? Per un verso, il Ministro degli Esteri può stare sereno: nella storia il parlamento non sfiducia quasi mai i ministri. Il fondatore di Insieme per il futuro – un nome che non è proprio foriero di buoni presagi – ha ben altro da temere. Guardando a un futuro ormai prossimo la nuova formazione politica rischia di pagare la scissione: raramente le rotture politiche hanno portano consensi alle urne. Con il voto ormai alle porte, quanto prenderebbe il nuovo partito di Di Maio?
Insieme sotto l’1 per cento
Sorpresa. L’addio di Di Maio al Movimento fa bene ai Cinque Stelle. È quanto si evince leggendo le intenzioni di voto del sondaggio settimanale di Termometro Politico realizzato tra il 21 e il 24 giugno che per la prima volta ha rilevato la forza elettorale di Insieme per il Futuro. Il progetto politico lanciato dal ministro degli Esteri, secondo la rilevazione, Ipf raccoglierebbe la stessa cifra del Partito Comunista, un magro 1%. E il M5S? Al momento sembra ringraziare: i pentastellati orfani di “Giggino”, guadagnano infatti due decimi rispetto alla settimana scorsa portandosi al 12,8%. Intanto arretrano Fdi, Pd e Lega rispettivamente al 22,9%, al 22,3% e 16,7%. Cresce Forza Italia al 7,6% mentre Azione/+Europa scende al 4,2%. I Verdi sfiorano il 3% precedendo Italia Viva e Italexit (ciascuno al 2,2%).
Dopo la scissione portata avanti da Di Maio, sono in molti a interrogarsi sul futuro dei Cinque Stelle. Per il 48,4% il Movimento ci sarà ancora dopo le prossime politiche, ma sarà un partito di nicchia, più piccolo dell’attuale. L’11,4% crede invece che recupererà consenso, il 5,4% che avrà all’incirca la forza attuale, l’11,8% pensa che cambierà nome e darà luogo a varie scissioni e formazioni più piccole, infine il 20,5% ritiene possibile o un suo scioglimento oppure una sua discesa sotto la soglia di sbarramento.
Riguardo il futuro di Di Maio, gli scenari dipinti dagli italiani sono diversi. Per il 31,1% il suo nuovo partito sarà parte di un grande centro, per il 26,8% sarà alleato del Pd alle prossime elezioni, per il 23,9% confluirà nel Pd o in un’altra formazione con una pattuglia di fedelissimi mentre in pochissimi credono a una riconciliazione con Conte e il M5S (2,3%).
Conte ritornerà alle origini? Il commento di Osservatorio Globalizzazione
Il fondatore dell’Osservatorio Globalizzazione, Aldo Giannuli, lo diceva da tempo: la sete di potere di Luigi Di Maio avrebbe presto o tardi portato al declino il Movimento Cinque Stelle. Il “doroteo” di Pomigliano d’Arco ha fatto di più: ha spaccato il Movimento portando fuori un gruppetto. Poco o nulla sul fronte dei consensi per il Ministro degli Esteri, ma un duro colpo per Giuseppe Conte e la sua leadership. Colpito negli anni e di recente dal fuoco incrociato con una durezza in passato non riservata ad altri partiti, e questo è un dato su cui riflettere, al contempo il Movimento ha perso da tempo ciò che rimane della sua identità originale. Il Movimento Cinque Stelle avrebbe dovuto essere il partito della società civile, che più di tutti avrebbe dovuto liberare la politica da vecchi apparati e presunte lobby. Ma la realtà parla di una burocrazia farraginosa, di un sistema di potere bloccato, di un partito non scalabile e di guerre di potere paragonabili a quelle della politica tanto criticata dai grillini.
Per Conte la strada passa per il ritorno alle origini? Non così facile. Giannuli ricorda che “il populismo non puoi farlo con Conte” e che una volta spezzato l’incanto non può bastare la presenza di condizioni materiali simili a quelle pre-ascesa dei pentastellati, crisi economica e sociale in testa, a ricreare in laboratorio lo scenario di partenza. La realtà dei fatti lascia pensare a una scissione in cui la somma delle componenti sarà, politicamente ed elettoralmente, minore della base di partenza. Ma se Conte piange, Di Maio non ride. E la sua manovra di palazzo è destinata ad aver vita breve.
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