Ogni anno con l’arrivo di giugno si torna a parlare di comunità LGBTQ+ e a organizzare i Pride in tutta Italia. Il Milano Pride, la cui parata sarà il 2 luglio, è soggetto però a una serie di critiche legate all’aspetto economico e a una limitata rappresentazione delle persone marginalizzate.
Una rappresentazione limitata
L’evento finale del Milano Pride, che si svolgerà all’Arco della Pace il 2 luglio, ha ricevuto alcune critiche anche per l’edizione del 2022. In particolare si parla di un gruppo di ospiti che poco rappresenta la comunità LGBTQ+ e altre marginalizzazioni. Lato B – il circolo culturale milanese gestito dall’associazione La Freccia – evidenzia infatti che “quest’anno negli eventi a margine della parata c’è stato uno sforzo maggiore per includere più persone marginalizzate.
Specifichiamo a margine della parata, perché a quello che è l’evento principale e più partecipato, invece, come in molti pride nel resto d’Italia, sono state scelte persone che non appartengono alla comunità o, comunque che appartengono alle lettere più visibili: uomini cis bianchi abili omosessuali”.
Il comitato della manifestazione ribatte che le voci che si sentiranno dal palco “L’evento finale del Milano Pride è quel momento dedicato proprio alle voci della comunità: chiunque sia stato a un Pride sa che i discorsi e le voci delle soggettività e delle associazioni LGBTQIA+ non mancano.
Il cuore dell’evento è proprio dedicato a loro, al partire dalle nostre istanze per poi toccare anche quelle di altre soggettività marginalizzate – in un’ottica di alleanza e supporto reciproco: queste voci sono quelle dei “padroni di casa”, di chi anima e organizza il Milano Pride. Poi sì, abbiamo anche numerosi ospiti – molti dei quali appartenenti alla comunità – che accompagnano tutte queste voci in un clima di celebrazione e entusiasmo”.
La Marciona: un Pride alternativo
Proprio per via delle contraddizioni del Milano Pride, il 18 giugno si è tenuta la Marciona, una manifestazione che risponde alla “necessità di promuovere a Milano un altro modello di pride, che sia più politicizzato, intersezionale, che non dimentichi che i diritti civili non possono essere separati da quelli sociali e che non si fermi alle sole vie del centro, ma passi anche da zone più periferiche” spiega Lato B, che vi ha preso parte.
Il percorso del corteo del 2 luglio è stato infatti modificato rispetto alle edizioni prepandemiche. Non è infatti previsto il passaggio per Porta Venezia, il quartiere più LGBTQ+ di Milano. “La scelta è stata motivata da più fattori” spiega il comitato. “Il Milano Pride è cresciuto molto negli anni, fino a vedere la partecipazione di 300.000 persone nell’edizione 2019 e questo ha significato che c’erano alcuni limiti non indifferenti del nostro percorso che terminava in Porta Venezia.
Avere un così grande afflusso significa tanto è un ottimo sintomo di una società che sta progredendo verso il mondo che vogliamo. Ma significa anche progettare e sognare cose diverse dal passato per rendere la manifestazione realmente fruibile da tutti i partecipanti: spazi più ampi per accogliere più persone e, perché no, anche la contaminazione di nuove aree di Milano”.
Un Pride brandizzato
Infine tra gli aspetti contestati del Milano Pride c’è la partnership con diversi brand – spesso multinazionali – che non sono celebri per la tutela delle categorie marginalizzate. È una critica che torna ciclicamente ogni anno e che si scontra con la necessità di fondi per la manifestazione.
Il comitato spiega infatti che “una cosa di cui forse non tutti si rendono conto è che il Milano Pride è organizzato da un’associazione di volontariato, in collaborazione con le altre associazioni LGBT+ di Milano. Avere delle aziende alleate ci permette non solo di supportarle nei loro percorsi di Diversity & Inclusion, ma anche di rendere la manifestazione sostenibile. Soprattutto crea un enorme valore aggiunto per il territorio e non solo: tutti i proventi del Pride infatti – al netto dei costi vivi – vengono inseriti nel Rainbow Social Fund, un fondo per progetti sociali e culturali.
L’ottica del Milano Pride è quella della solidarietà: essere anche un’occasione di raccolta fondi che poi possano rispondere ad esigenze specifiche, concrete, spesso urgenti. Negli anni sono tanti i progetti avviati e sostenuti: una casa per le donne senza tetto, assistenza legale per le vittime di reati d’odio, housing assistito per richiedenti rifugio politico, un sostegno alle associazioni LGBT+ ucraine per la gestione dell’emergenza della guerra. E ne immaginiamo altri per il futuro”.
Lato B fa però notare che si fa sentire l’esigenza di bilanciare la necessità di fondi con dei principi morali più saldi. “Ogni anno il Milano Pride, barricandosi dietro la motivazione dei costi che un evento così grande richiede, stringe partnership e dà visibilità alle stesse aziende multinazionali che durante il resto dell’anno sfruttano e sottopagano chi lavora e il nostro pianeta.
Questa politica, che scinde i diritti civili da quelli sociali, non è sostenibile e porta alla strumentalizzazione della comunità che, nelle mani di queste multinazionali, diventa semplicemente un target a cui vendere nel mese di giugno. Il dilagante rainbow washing, ovvero la pratica per cui le aziende si tingono di arcobaleno durante il mese di giugno ma continuano a perpetrare le loro dinamiche di sfruttamento tutto l’anno, e la strumentalizzazione delle nostre istanze a fini commerciali sono, a nostro avviso, tra i problemi principali del Milano Pride”.