di Francesco Floris
Dovrà avere un ruolo chiave per risollevare le sorti della città di Milano nel post pandemia. Fra disoccupati da formare e ri-orientare a nuovi mestieri incrociando domanda e offerta, gestire la partita sulle politiche attive del reddito di cittadinanza e quella – sempreverde – dei ragazzi che hanno abbandonato la scuola in età dell’obbligo e ritornano a studiare nei centri di formazione professionale. Insomma, una delle “linee Maginot” per Milano. Da una parte della muraglia ci sono recessione e stagnazione cittadina, che si mangiano imprese e posti di lavoro. Dall’altra un modo per ripartire. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, anche per Afol Met – l’Azienda per la Formazione, l’Orientamento e il Lavoro della Città Metropolitana di Milano – sarà una lunga nottata.
75mila ingressi? Risponde la segreteria
Parla di Centri per l’Impiego nel 2020 presi d’assalto nonostante l’emergenza sanitaria, Maurizio Del Conte, il professore bocconiano scelto per guidare Afol come presidente del cda dopo essere già stato al timone della “nave ammiraglia” Anpal a Roma. Solo fra gennaio e agosto del 2020 sarebbero stati 75.314 gli accessi ai centri milanesi. Ridono i lavoratori di Afol – alcuni dei quali precari da 15 anni – di fronte ai numeri che Del Conte offre al Corriere della Sera. 75Mila ingressi? “Ridicolo” rispondono. E offrono le prove: basta chiamare il centralino allo 0277404141 per sentirsi replicare da una voce registrata che i servizi sono erogati da remoto e non in presenza. Come siano entrate 75mila persone attraverso le linee telefoniche rimane materia da professori universitari.
Rdc e politiche attive: numeri bassi
Ma oltre alla boutade sui numeri, c’è di più. Lo tsunami economico necessità di misure svelte, efficienza e soprattutto pochi modelli teorici e molta operatività. Non è più quello che accade dentro Afol, a cominciare dalla riorganizzazione che ha portato i tirocini di inserimento lavorativo sotto la formazione professionale e svuotando i centri per l’impiego di ogni competenza portandolo a mero ufficio amministrativo. True-News ha già raccontato dei numeri bassi, bassissimi, legati alle politiche attive del reddito di cittadinanza. I più bassi dell’intera Lombardia, curiosamente nella città più “frizzante” d’Italia dal punto di vista della ricerca lavoro. Ma qui non si parla nemmeno di incrocio fra domanda e offerta. A Milano, più che altrove nella regione “Locomotiva d’Italia” e nel resto della penisola, i beneficiari di rdc non vengono nemmeno convocati per il primo colloquio, esplorativo, quello che serve a comprendere le “skills” del soggetto e iniziare a immaginare come rivenderle sul mercato, sempre ammesso che ci sia la domanda. Pochissimi sono anche i Puc (progetti utili alla collettività) attivati dai Comuni e per lo più con ruoli di “assistente covid-19”. Che significa, di fatto, misurare la febbre e spiegare come indossare una mascherina fuori dagli stessi centri di formazione professionale di Afol, in una sorta di economia circolare fallimentare.
Il Navigator non può entrare
Uno dei motivi per cui tutto ciò accade? In varie occasioni Afol Met non ha fatto entrare all’interno dei propri centri i Navigator, che daranno anche fastidio suscitando ironie nell’opinione pubblica ma sono pur sempre dipendenti selezionati dal nazionale dell’Agenzia Politiche Attive Lavoro (Anpal). Una prova di ciò? L’ultimo avviso di selezione pubblica bandito da Afol il 18 febbraio, per la ricerca di 26 unità di personale in qualità di “Tecnici Servizi Lavoro” da assegnare ai Cpi. Come? “Assunti con contratto a tempo determinato della durata di 6 mesi prorogabili per ulteriori 6 mesi, nelle more dell’espletamento dei concorsi regionali”. Tradotto: in attesa dei concorsi regionali, tamponano con delle selezioni e assunzioni da massimo un anno. Le fanno tutti le assunzioni in somministrazione con agenzie esterne, lamentando la carenza di personale, ma ciò che fa specie di Afol Met è io non accettare di collaborare con i Navigator di Anpal – che pure ci sarebbero – all’interno dei Cpi. Autonomia meneghina, si direbbe. Per una volta, fatta male.