Sale il vento della destra. Mentre il campo largo del centrosinistra sembra naufragare sotto l’ombrellone, sondaggi e legge elettorale gonfiano le vele delle coalizione capitanata da Fratelli d’Italia. Se c’è un fattore fattore che può frapporsi tra Giorgia Meloni e Palazzo Chigi, quello è la storia. Il “pericolo fascismo” c’entra poco o nulla. Non sono pochi i precedenti di previsioni che vengono puntualmente smentite dalle urne. La storia delle elezioni in Italia è piena di ribaltoni elettorali e di sondaggi della vigilia che si rivelano sbagliati.
L’esordio difficile dei sondaggi
Il rapporto tra sondaggi e politica è complicato, da sempre. Il debutto avvenne col referendum del 2 giugno 1946. Pierpaolo Luzzatto Fegiz di Doxa propose le sue rilevazioni a oltre 50 quotidiani e agenzie del paese. Quasi tutti rifiutarono, bollando l’offerta come inutile e dispendiosa. Previsione errata, la loro. Doxa, anche se inascoltata, aveva fatto rilevazioni corrette.
Scetticismo incauto che si ripeté per le politiche del 1948. Anche in quell’occasione le rilevazioni di Doxa si rivelano veritiere, in contrasto con gli umori del paese. “E’ estremamente improbabile che il Fronte delle sinistre ottenga la maggioranza assoluta o relativa alle Camere”. Scenario che puntualmente si avverò. Senza però riuscire a smuovere l’indifferenza dell’opinione pubblica, la miopia degli editori e la mancanza di committenti politici. Così i sondaggi in Italia furono messi in soffitta per decenni.
Il doping sondaggistico del 1994
La vera rivoluzione nei sondaggi arrivò negli anni Novanta. La fine della Repubblica dei Partiti; la discesa in campo di Silvio Berlusconi; e nuovi strumenti di rilevazione, come gli exit pool. A settembre del 1993 Gianni Pilo, direttore del marketing della Fininvest, fondò Diakron, una società demoscopica interamente dedicata al nascente partito di Berlusconi.
I sondaggi svolsero allora un doppio ruolo: informare il gruppo dirigenziale dell’andamento della campagna elettorale; ed essere strumento di comunicazione diretta con il pubblico. L’ultimo obiettivo da conseguire è attrarre il più possibile l’attenzione dei media e di conseguenza dell’opinione pubblica. Dopo il videomessaggio del 26 gennaio 1994, la Diakron diede Forza Italia oltre il 35% dei consensi. Exploit che suscitò sospetti all’interno del mondo demoscopico. Gianni Pilo viene cacciato dall’ESOMAR per aver definito Giorgio Calò (titolare di Directa) un “goffo paladino del doping sondaggistico“.
La rilevazione dopata alla fine era quella di Pilo, ma Forza Italia potè comunque festeggiare. Primo partito italiano, ma con il 21% dei voti. Quasi 15 punti percentuali in meno della rilevazione di Pilo, comunque sufficienti a permettere la formazione del primo governo Berlusconi. Governo di breve durata, alla cui caduta succedette Lamberto Dini, fino allo scioglimento delle camere nel 1996.
Le elezioni bipolari al cardiopalma
Sulle elezioni del 1996 dominò l’incertezza. Alla vigilia delle elezioni il risultato pareva ancora molto incerto. La vittoria sarebbe scaturita dall’esito della consultazione in pochi collegi ancora in bilico. La coalizione di Prodi risultò vincitrice, ma nessun sondaggio preelettorale aveva previsto il risultato con precisione. Gli anni del bipolarismo furono i più difficili per i sondaggisti.
Cinque anni dopo, in vista delle elezioni del 2001 si scatenò la “guerra dei sondaggi“. Il centrodestra era dato complessivamente in vantaggio, ma con forbici molto differenti. Secondo Greenberg erano solo due punti a separare Berlusconi da Rutelli; per Luigi Crespi ben 15. Alla fine vinse ampiamente il centrodestra, grazie al proporzionale.
Nel 2006 la situazione si invertì, ma per i sondaggisti proseguirono le difficoltà. Il vantaggio, del centrosinistra inizialmente stimato in 5 punti percentuali, si rivelò in realtà molto inferiore. Prodi vinse per un soffio: solo 24.755 voti alla Camera. Un’autentica debacle per i sondaggi. Solo parzialmente mitigato dalle previsioni corrette delle elezioni del 2008. Per loro fortuna gli anni del bipolarismo delle coalizioni stavano volgendo al termine.
Le elezioni del 2013
Le elezioni del 2013 rappresentano una nuova fase politica per l’Italia e per i sondaggisti. Gli ultimi sondaggi furono pubblicati due settimane prima del voto del 24 e 25 febbraio. Davano ampiamente in vantaggio il Partito Democratico di Pierluigi Bersani, al 30%; il Popolo della Libertà (Pdl) di Silvio Berlusconi intorno al 20; e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo fermo al 15 per cento. Al 10% Scelta Civica di Mario Monti; al 5 Lega di Roberto Maroni; al 4Sinistra ecologia e libertà di Nichi Vendola; e al 3 per cento l’Unione di centro di Pier Ferdinando Casini.
Risultati ampiamente smentiti dalle urne. Nessun sondaggio aveva di fatto previsto la situazione di sostanziale parità a tre. Una non-vittoria di Bersani che riportava i sondaggisti sul banco degli imputati. L’errore del 2013 fu nel sopravvalutare il Partito Democratico; dato per ampiamente vincitore, con un dato gonfiato di quasi cinque punti. Il Movimento 5 Stelle fu sottovalutato di quasi dieci punti.
Le elezioni del 2018
Arriviamo quindi all’ultima elezione di cinque anni fa. Quindici giorni prima del 4 marzo 2018 i sondaggi davano il Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio al primo posto con il 28 per cento; il Pd di Matteo Renzi al 23 per cento; Forza Italia di Silvio Berlusconi al 17 per cento e la Lega di Matteo Salvini al 14 per cento. Sopra il due per cento, i sondaggi davano Liberi e Uguali guidato da Pietro Grasso al 6 per cento, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni al 5 per cento e Più Europa di Emma Bonino al 2,5 per cento.
I risultati delle elezioni smentirono profondamente questa fotografia. Il 4 marzo infatti il Movimento 5 Stelle ottenne il 32,7 per cento dei consensi. Staccando di ben quattordici punti il Partito Democratico che si fermò al 18,8 per cento. Nella coalizione di centrodestra si ribaltarono inoltre i rapporti tra la Lega e Forza Italia: la prima, con il 17,4 per cento, risultò avanti a Forza Italia, ferma invece al 14 per cento. Tra i tre partiti minori che arrivarono almeno al due per cento, Fratelli d’Italia ottenne il 4,3 per cento, Liberi e Uguali il 3,4 per cento e Più Europa il 2,6 per cento.
Sondaggi non affidabili
Spiegare l’abbaglio del 2018 è complesso. Buona parte al fatto che i partiti erano ben fuori dai margini di errore. Il sito Pagella Politica attribuisce parte della spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che molti elettori decisero chi votare negli ultimi quindici giorni. Considerando le forti differenze tra atteso e reale, è però più probabile che i sondaggisti abbiano intervistato campioni non realmente rappresentativi di chi poi sarebbe andato al voto, cadendo nel nonresponse bias, il più grande problema di cui soffrono le rilevazioni politiche: il fatto, cioè, che alle domande dei sondaggisti rispondono in modo sistematico categorie di elettori differenti rispetto alla popolazione generale dei votanti.