Giuseppe Conte ha aperto la crisi con Mario Draghi anche, se non soprattutto, guardando in prospettiva alla stagione delle nomine del 2023, tra le più ricche degli ultimi tempi. Ma vista la marginalizzazione del Movimento Cinque Stelle e il rapido declino del piano inclinato della politica italiana verso l’appuntamento elettorale, potrebbe non essere bastato.
Il previsto ridimensionamento del Movimento Cinque Stelle lascia pensare che dopo il 25 settembre sarà una maggioranza non comprendente i grillini a rinnovare i consigli di amministrazione di aziende di peso come Eni, Enel, Leonardo, Poste Italiane e Terna.
Sulle nomine la palla torna ai partiti
Secondo quanto risulta a True News, molti boiardi di Stato hanno esultato al momento della caduta di Mario Draghi alla prospettiva che non sarà lo “Zar” di Palazzo Chigi per le questioni economiche, il super-consigliere Francesco Giavazzi, a decidere quasi ogni connotazione del processo che porta al Presidente del Consiglio la short list per consigli di amministrazione e cariche apicali, dopo confronti con un novero ristretto di persone come Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro.
Draghi, Giavazzi e Rivera, la “troika” delle nomine, sono intervenuti con l’accetta nelle partite calde del 2021 e del 2022. Spesso procedendo alla scelta del rinnovo totale dei vertici. Il tutto con risultati più lusinghieri nel primo caso (Cdp e Ferrovie dello Stato) che nel secondo (dove su Snam e Fincantieri Draghi ha sostenuto la rimozione dei preparati ad Marco Alverà e Giuseppe Bono). Ora la politica torna in campo e tornano assieme ad essa le logiche di interlocuzione tra gruppi di pressione, cerchie di potere, rapporti consolidati. Tutti si sentono potenzialmente ancora in gioco e guardano con attenzione. È questo il punto chiave, al “fatto nuovo” della politica. L’ascesa di Fratelli d’Italia, che potrebbe essere primo partito; e partito guida della coalizione di centro-destra chiamato a dare le carte per le future nomine.
Giorgia Meloni, la game-changer: occhio alle presidenze Eni e Enel
Questo non significa che Fdi sia una diligenza facilmente assaltabile. Giorgia Meloni si muove da tempo e assieme a lei fa le sue valutazioni l’altro uomo forte della campagna elettorale, Enrico Letta. Pur dalla guida di coalizioni diverse, l’attenzione per le nomine è comune. E non esclude, data la rottura Conte-Draghi, un netto ricambio dei vertici già nel mirino del fu governo di unità nazionale. Con il partito contiano costruito attorno alla solida rete di potere di Massimo D’Alema nel mirino.
Chi, dei manager nel mirino di Draghi, può scampare al “taglio” e chi invece, a prescindere all’esito delle elezioni, pare meno stabile? Partiamo da questo ultimo punto. Sembrano decisamente in ribasso le azioni di due presidenti nominati in quota Movimento Cinque Stelle nel round di nomine del 2020. Lucia Calvosa, portata dal cda de Il Fatto Quotidiano alla presidenza dell’Eni, e Michele Crisostomo, presidente di Enel. Nel primo caso, il Cane a Sei Zampe sarà, a prescindere che dalle urne esca una maggioranza di centrodestra (più probabile) o centrosinistra, rinnovato nella presidenza. Calvosa è associata a Conte e, soprattutto, Marco Travaglio che si prepara a continuare il suo ruolo da capo dell’opposizione promosso col suo giornale nel governo Draghi.
Inoltre, l’ad di Eni, Claudio Descalzi, appare blindato per un quarto mandato: piace agli Stati Uniti e in Europa, ha dalla sua parte risultati lusinghieri negli ultimi anni e può rivendicare di aver previsto per tempo lo tsunami che ha travolto il settore dell’oil&gas nell’ultimo biennio. Stesso discorso per Crisostomo, identificato come uomo di Conte in tutto e per tutto. Per l’eredità alla Calvosa un nome che appare quotato, oggi, è quello del direttore del Dis, ambasciatore Elisabetta Belloni. Che vanta consensi trasversali e una cultura della sicurezza nazionale, mentre l’Enel si inserirà nel risiko delle nomine.
Infatti, oltre a Crisostomo può essere messo in discussione anche l’ad Francesco Starace. Il quale non piace a Draghi, che lo reputa troppo ambiguo sulla Russia e vicino sostanzialmente a Conte, e ha rotto anche con il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani cassandone sul nascere i piani sul nucleare. Per questa ragione, ha maggiori possibilità di restare in sella; qualora il centrodestra non prevalesse e tornasse al potere il centrosinistra che lo ha chiamato alla guida di Enel nel 2014.
Donnarumma “golden boy” del centrodestra?
In caso di vittoria del centrodestra, occhio invece alle quotazioni di Stefano Donnarumma: per lui, che Draghi intendeva sostituire, sarebbe quantomeno certo un futuro alla guida di Terna, alla cui guida ha promosso una significativa accelerazione degli investimenti (+25% nel piano di sviluppo decennale, a 18,1 miliardi) e una corsa del titolo che in Borsa viaggia ai massimi storici nonostante i tassi in rialzo, ma potrebbero esser prossima anche l’apertura delle porte per la guida della più grande delle partecipate.
Si discute se per Starace, i cui numeri da ad di Enel sono lusinghieri, un paracadute potrebbe essere in questo caso la nomina a figura di garanzia come presidente. In questo caso, l’ad di A2A Renato Mazzoncini sarebbe tra i favoriti per entrare in Terna.
Il futuro di Leonardo
In bilico, invece, l’intera leadership di Leonardo: l’ad Alessandro Profumo ha dalla sua la proiezione internazionale consolidata del gruppo, ma remano a suo sfavore le inchieste giudiziarie e un rapporto turbolento con alcune fazioni di potere negli Stati Uniti che, complice il timore per il dinamismo di Piazzale Montegrappa, hanno frenato le commesse e l’espansione dell’ex Finmeccanica oltre Atlantico. Gruppi, questi, che fanno riferimento principalmente al Partito Repubblicano.
Non è dunque da escludere che Profumo, vicino storicamente a D’Alema e al centrosinistra come l’amico ed ex presidente Gianni de Gennaro, unico top manager bancario italiano nel 2007, anno della nascita di Unicredit sotto la sua guida, a votare alle primarie del Partito Democratico, possa essere sostituito dal centrodestra.
Lorenzo Mariani (a lungo direttore Commerciale e Sviluppo business e oggi managing director di MBDA Italia); e Gian Piero Cutillo (capo della Divisione Elicotteri) sono indicati come papabili sostituti. Più incerta la presidenza, dopo il prefetto Luciano Carta, pur nominato in quota giallorossa ai tempi del Conte II, non si è appiattito sulla posizione del premier e risulta in bilico ma non in dirittura certa d’uscita.
Poste verso la stabilità aspettando Cdp
Matteo Del Fante e Maria Bianca Farina, ad e presidente di Poste Italiane, appaiono i maggiormente papabili per una conferma. Essendo graditi o non sgraditi tanto al centrodestra quanto al centrosinistra. Il vero nodo, per entrambi, è il legame tra il loro futuro e quello di Cassa Depositi e Prestiti. Che un nuovo esecutivo dovrà con ogni probabilità rinnovare, salvo tracolli-lampo, nel 2024. Dario Scannapieco, ad di Via Goito, porta con sé la nomea di draghiano doc, mentre Poste è rimasta più autonoma.
Finita l’esperienza dell’autodefinito “Governo dei Migliori”, anche la sua posizione potrebbe essere in bilico.
Ma meglio non correre oltre: per Cdp, e Rai, ci sarà tempo. Le cinque perle della galassia delle partecipate che saranno rinnovate nel prossimo anno sono decisamente già abbastanza complesse da analizzare, soprattutto se a uscire dalle elezioni come vincitore sarà un centrodestra affamato di posizioni di potere.
L’eterogenesi dei fini del progetto di Conte di silurare Draghi, in ultima istanza, porterà a far giocare alla politica una partita in cui l’unico a toccare palla, ironia della sorte, sarà proprio l’ex presidente del Consiglio. Che oltre all’ex governatore della Bce rischia di aver archiviato anche sé stesso e il suo partito personale.