Oltre all’efficiente campagna di vaccinazioni contro il Covid-19, il Regno Unito può festeggiare un altro risultato con orgoglio: tra i Paesi più ricchi e sviluppati è quello che sta abbandonando il consumo di carbone più velocemente. Nel corso dell’estate 2020, per esempio, ha passato ben due mesi senza usare energia prodotta con questa risorsa, un fatto che non si verificava dal lontanissimo 1882. Un successo innegabile, nota l’Economist, ma è troppo presto per riposarsi sugli allori, perché ciò significa solo che la transizione energetica è cominciata bene. La strada è ancora lunga: per esempio, circa le metà della rete energetica deve ancora essere ripensata per poter sostenere l’energia prodotta dalle singole abitazioni, ad esempio con i pannelli solari.
Intanto, però, val la pena osservare i dati della decarbonisation britannica, un processo lungo iniziato – strano a dirsi – con Margaret Thatcher e la sua “guerra” contro i sindacati dei minatori, con cui il Paese ha cominciato a concentrarsi su altre risorse. La svolta è diventata un vero e proprio piano strategico nazionale solo nel 2008, sotto i laburisti, quando il governo passò il “Climate Change Act”, anche se la via green fu seguita (o quanto meno non abbandonata) anche dai Conservatori di David Cameron negli anni Dieci. Nel 2013 una coalizione di Conservatori e Lib-Dem decise ad esempio di raddoppiare le tasse sul carbone (rispetto il gas), con risultati incredibili: nel 2015 il carbone rappresentava il 25% dell’elettricità del Regno Unito, mentre oggi è sceso al 2%.
Per arrivare all’obiettivo del net zero, sarà necessario una rivoluzione nella mobilità e nei consumi domestici: dalle auto al riscaldamento di casa, insomma, la transizione dovrà essere totale. Ma è, come detto, un buon inizio.