di Francesco Floris
Cosa è successo e cosa succederà? “Molte persone hanno vissuto il rapporto con la sostanza, che siano farmaci, droghe o alcol, in solitudine a casa loro”. Mentre sono saltati tutta una serie di consumi “edonistici”, legati all’intrattenimento. Impartendo una lezione chiara: “Atteggiamenti che vengono definiti dipendenza in realtà sono fenomeni puramente di consumo legati alla situazione”. Quindi? “È più probabile che un soggetto sia dipendente dalla situazione in cui si consumano droghe che non dalle sostanze stesse, infatti queste persone non si sono riversate sui servizi a causa di lockdown e pandemia perché stavano male, semplicemente non hanno più consumato e questo dovrebbe far riflettere”. Medico psichiatra, in forza all’Asst Santi Paolo e Carlo, Riccardo Gatti è la persona giusta a Milano se si vuole parlare di dipendenza da sostanze lecite o illecite. Da Direttore del Dipartimento Interaziendale Prestazioni erogate nell’ambito delle Dipendenze è abituato a partire dai dati dei SerD milanesi per osservare e interpretare cosa accade a livello globale in una sorta di “geopolitica delle droghe”.
Droghe? “Paesi più poveri, cambiano i mercati”
Alla fine di questa pandemia – dice a True Pharma – ci troveremo con un Paese più povero, in difficoltà, e che passata l’euforia da ‘fine della guerra’ dovrà vedere come ricostruirsi. Dentro questa dinamica il significato delle sostanze, il senso delle droghe, cambia e nel frattempo cambiano i mercati attrezzandosi per Paesi più poveri”. Segnali? L’Afghanistan che è sempre stato l’epicentro produttivo di oppiacei ed eroina che improvvisamente inizia ad avviare una monumentale produzione di metanfetamine che hanno già invaso alcuni Paesi come l’Iran, non a caso una delle nazioni da cui partono le navi che portano l’eroina in Europa”. La riflessione di Gatti è a tutto campo: “Questi meccanismi, come le guerre, come le rivoluzioni, cambiano lo scenario globale, accelerano dinamiche come il passaggio all’utilizzo di mezzi tecnologici di massa, un passaggio che di solito avviene a livello generazionale”. “Ci troveremo in uno scenario di organizzazione sociale diverso dove il rapporto con la dipendenza, con le sostanze lecite e illecite e l’effetto-significato viene loro attribuito in modo che corrispondano a uno specifico desiderio o a una certa aspettativa di stato di coscienza, si modifica”. Su Milano ad esempio? “Che significato aveva la cocaina che ora non ha più?” s’interroga lo psichiatra riflettendo sul ruolo che la sostanza assumeva sui luoghi di lavoro, in particolare alcuni chiusi, o quasi, ininterrottamente da oltre un anno. O ancora: come si modificherà quello che lui definisce il “vero mercato remunerativo”, quello del “delivery a domicilio”? “Non è stato inventato durante la pandemia, si è solo rafforzato e potenziato” risponde “ma questo avviene anche perché è quello più remunerativo: il vero business, che non si fa nelle piazze di spaccio dove arrivano numeri importanti di persone, spesso disperate, ma che possono pagare 5 o 10 euro una dose”.
Post pandemia? “Uso intimistico delle droghe”
Cambiano i target, cambiano le rotte, cambiano “le situazioni di consumo insegnandoci che esistono tutta una serie di contesti costruiti per favorire determinati consumi e non altri e che, quando vengono a mancare, spariscono anche i consumi”. Allo stesso tempo invece un probabile incancrenirsi di situazioni note o croniche: “È vero che chi era già nel pieno della problematica o della dipendenza è andato in difficoltà perché sono saltati alcuni tipi di rapporto e di vicinanza con gli operatori”, esattamente come, pur non esistendo a oggi dati certi che si potranno elaborare solo nel corso del tempo, “in un momento di crisi è pensabile che le persone si accostino di più alle sostanze magari per motivi di auto-cura”. Risultato? Anche una volta usciti dalla crisi Covid “avremo un mix fra uso situazionale e quello che definirei uso intimistico”.
“Un cambio di passo, basta guardare solo ai cronici”
Cambiamenti profondi a cui il sistema di contrasto e cura si deve adattare. Non usa frasi di circostanza Riccardo Gatti: “O il sistema fa il salto generazionale oppure servirà solo a contenere la cronicità” intesa come la dipendenza figlia di consumi e comportamenti del passato. “Per quanto riguarda il nostro lavoro prima poteva essere una questione di operatori illuminati, ora è una necessità. Serve un sistema di contatto con la popolazione diverso proprio perché cambiano le relazioni sociali e comunicative”.
Legge Dipendenze? “Un sistema integrato”
Proprio la Lombardia ha approvato da quattro mesi la propria legge sulle Dipendenze. Il numero uno dei Servizi di Milano dà un giudizio positivo, di forma e di merito. Primo: il medico non si attendeva un’attenzione al settore del legislatore proprio nel momento in cui la madre di tutte le emergenze – il Covid – oscurava qualunque altro argomento legato alla salute: “La pandemia ha messo in rilievo come in crisi sia andato proprio il sistema di prossimità con i cittadini dentro il quale ci sono anche i servizi per le dipendenze e quindi è un fatto positivo a prescindere che si agisca per costruire un sistema dinamico che cambia e che non parla più solo di dipendenze patologiche” e di “cronici”, cioè la punta dell’iceberg della dipendenza da sostanze senza vedere cosa c’è sotto il livello del mare. Sul merito della norma, raccontata da True Pharma a dicembre 2020, il medico psichiatra da un giudizio positivo: “Non è una di quelle leggi, come la 309/90 nazionale, che parla solo di contrasto” dice Gatti. Anzi. “Va a costruire un’intelaiatura nuova che è indirizzata alla costruzione di un sistema integrato”. Gli obiettivi? “Rivedere gli accreditamenti, ridiscutere l’intervento sui minori” ma soprattutto “il concetto per cui sulle dipendenze non esistono solo i servizi specializzati, pubblici o privati, ma è tutto il sistema socio sanitario che interviene con una rete che va dagli ospedali ai medici di famiglia fino ai servizi specializzati, che però sono un nodo, non l’unico nodo”. È proprio questa rete che “apre all’intervento precoce”, la vera ratio della norma che punta a ridurre il gap temporale fra primo utilizzo della sostanza e aggancio del sistema socio-sanitario. Un gap oggi immenso, stimato mediamente in otto anni di tempo. Del resto, riflette Gatti, “già partendo dal nome che abbiamo ‘servizi dipendenze’, fa capire come non siano pensati per intervenire precocemente ma per contenere una deriva che può essere patologica ma anche sociale, cioè rispetto a tutti coloro che per alimentare la propria dipendenza hanno commesso delle trasgressioni e non finiscono in carcere ma devono curarsi come alternativa alla pena”. “È il contenimento di un problema, a valle del problema stesso” mentre “nella nuova legge si intravede un sistema che si occupa di salute delle persone, arriva prima, incrocia i sistemi informativi apre al reinserimento lavorativo ed educativo”.
“Sistema diffuso”
Il punto della nuova legge non è certo smantellare il circuito rodato da anni di SerD-Comunità-Centri diurni-volontariato/terzo settore (che sulla cronicità e sulla patologia conclamata ancora oggi più giocare le sue carte e peraltro la norma rivende anche gli accreditamenti e le prestazioni) ma creare contemporaneamente uno dei chiodi fissi di Gatti: “Un sistema diffuso”. Fatto di diverse possibilità di offerta, in rete fra loro: dall’ospedale al territorio, e di percorsi, anche con professionisti privati convenzionati, arricchiti di momenti dedicati di tipo residenziale breve, differenti dagli attuali dove talvolta si sa quando si entra ma non quando si esce. Ciò permetterebbe anche di avere un’attenzione particolare per i minori e per gli anziani che, oggi, non sembrano avere situazioni adatte alle loro esigenze, nemmeno per i casi più gravi.
Riforma 23?
Manca però un tassello. La revisione in qualche forma della legge 23. Che, soprattutto a Milano, più che nel resto della Lombardia ha impattato tanto sui Servizi per le Dipendenze. A cominciare dal loro inserimento dei Dipartimenti di Salute mentale, cogliendo sì un aspetto della dipendenza ma non l’unico e forse nemmeno quello preponderante. Si è trattato soprattutto di una scelta che ha estremizzato il concetto di “guerra alla droga”, dove la dipendenza è solo quella da sostanze illecite e con il rischio che i servizi diventino il luogo dove si curano soltanto un certo tipo di persone. Del resto, come dice Riccardo Gatti con uno dei suoi cavalli di battaglia, le guerre – anche quelle alla droga – possono durare molto, ma alla fine o si vincono o si perdono. Dal punto di vista della salute pubblica invece non c’è alcuna trincea e nessuna guerra da vincere, se non quella di permettere al maggior numero di persone di preservare il più possibile la propria salute fisica e psichica.
Sotto il profilo operativo? Mettere mano alla cosiddetta “riforma Maroni”, significa di certo agire in qualche modo sull’unione dei Servizi che sono stati spezzettati. Almeno su Milano – dove ci sono sono tante aziende socio sanitarie, al contrario di altri più piccoli capoluoghi di provincia – i SerD sono stati spalmati su tre diverse Aziende Socio Sanitarie Territoriali (Asst): Santi Paolo e Carlo, Fatebenefratelli-Sacco e Niguarda. C’erano in prospettiva delle opportunità ma di fatto questa involontaria scelta ha rotto degli equilibri storici. Il frazionamento ha fatto sì che ci siano stati problemi nei cinque anni della riforma sotto il profilo delle risorse umane ma soprattutto dell’interscambio di dati e informazioni. Tanto che, per mettere una pezza, si è deciso di costituire un altro Dipartimento funzionale chiamato “Interaziendale prestazioni erogate nell’area dipendenze” e guidato proprio da Riccardo Gatti per far sì che le tre Asst comunicassero fra di loro. Vi siedono i capi dipartimento di ognuna e i direttori dei SerD. Devono trovare procedure comuni e dare un indirizzo a servizi che fanno parte di aziende diverse, con obiettivi differenti. Senza staff, per lungo periodo.