Un comodo paracadute elettorale, che consente un morbido atterraggio in un territorio di sicura elezione. Con l’approdo alla Camera e Senato, in base a dove il segretario del Pd, Enrico Letta, ha lasciato il posto libero. Nella lista Italia democratica e progressista molti big hanno preferito evitare il collegio di appartenenza geografica, ottenendo una collocazione diversa, anche al costo di suscitare malumori nel luogo in cui sono stati paracadutati. Preferendo però non correre il rischio di una debacle in casa.
Uno dei casi principali è quello del ministro della Cultura, Dario Franceschini, ferrarese doc
Uno dei casi principali è quello del ministro della Cultura, Dario Franceschini, ferrarese doc, che è capolista a Palazzo Madama nel collegio di Napoli. Il legame con il capoluogo campano è pressoché nullo, benché alla presentazione delle liste abbia promesso di rappresentare il territorio: «Ho lavorato molto in questi anni da ministro della Cultura, molto direttamente su Napoli e sulla Campania». Rispetto al 2018, comunque, Franceschini ha preferito non presentarsi all’uninominale di Ferrara: quattro anni fa subì un pesante ko, staccato di oltre 10 punti dalla leghista Maura Tomasi (il confronto finì 39,7 per cento a 29,1 per cento). Quest’anno le speranze di successo erano praticamente nulle e, peraltro, da un punto di vista ufficiale ha trovato la scappatoia nel fatto che la coalizione di centrosinistra ha evitato di schierare i big nei collegi uninominali.
A Napoli candidato il lucano Roberto Speranza
Sempre a Napoli, però, alla Camera è presente un altro ministro, Roberto Speranza, segretario di Articolo Uno e alle scorse Politiche eletto con Liberi e uguali. In questo caso ha evitato di correre nella sua Basilicata perché inizialmente il posto era stato riservato a uno degli under 35 voluti da Letta, Raffaele La Regina. Ma non solo. La candidatura in Campania offre maggiori garanzie di scattare in Parlamento. «Ogni figlio del meridione ha come faro Napoli», ha detto il ministro della Salute per motivare lo spostamento da Potenza al capoluogo campano, che ha definito «una capitale, la cui cittadinanza non può essere racchiusa dentro i confini delle sue municipalità». Insomma, Napoli diventa una città aperta, ma solo per i big in cerca di scranno parlamentare. E pazienza se la rappresentanza del territorio viene sensibilmente compressa. Percorso inverso per il paracadutato dell’ultima ora, Enzo Amendola, sottosegretario agli Affari europei del governo Draghi. Inizialmente era stato collocato in una posizione (terzo in lista), praticamente ineleggibile nella sua Campania. Tanto che sembrava volesse rinunciare, prima di annunciare il via libera alla «candidatura di servizio». Il passo indietro di La Regina, per i suoi tweet su Israele, lo ha dirottato come capolista in Basilicata, dove coltiva più di qualche chance di essere eletto. Rendendolo un lucano napoletano.
Susanna Camusso nel collegio di Benevento, Caserta e Salerno al Senato
Ancora una volta in Campania, ma questa volta nel collegio di Benevento, Caserta e Salerno al Senato, è piombata la lombarda Susanna Camusso, ex segretaria della Cgil, di cui ha detto di voler portare le idee nel Partito democratico. Sempre dal mondo del sindacalismo proviene Annamaria Furlan, genovese, fino al 2021 alla guida della Cisl, che è prima in lista al Senato nel collegio di Palermo. Di sicuro la sua città di origine condivide il mare con la città siciliana, per il resto poco altro. La Toscana è un’altra regione vista come un paracadute. A Montecitorio è stata candidata come capolista a Grosseto Laura Boldrini, che però è di Macerata. L’ex presidente della Camera ha respinto, però, l’etichetta di paracadutata: «Sono un profilo nazionale». Mentre il napoletano Arturo Scotto, braccio destro di Speranza in Articolo Uno, è stato dirottato nella circoscrizione di Pisa, alle spalle di Simona Bonafè. Così come la fedelissima di Letta, Anna Ascani, natia di Città di Castello (Perugia), è stata piazzata a Massa.
In Veneto l’ex Forza Italia, Beatrice Lorenzin. Il caso Fassino
La romana Beatrice Lorenzin, con una lunga carriera in Forza Italia da fedelissima di Silvio Berlusconi, ha trovato sistemazione addirittura a Padova, sempre nel ruolo di capolista, con un duplice motivo: nel Lazio erano molti ad ambire alla candidatura – a cominciare da Nicola Zingaretti – e soprattutto perché, alla luce della storia politica, Lorenzin non era molto ben vista dai militanti del territorio. Allora meglio spedirla in Veneto. Il caso più singolare è probabilmente rappresentata da Piero Fassino, già sindaco di Torino. La sua presenza in lista in Piemonte sarebbe stata logica, avendo già partecipato a una competizione locale. Invece, memori della debacle alle Comunali del 2016, è stato dirottato, pure lui, in Veneto. Per garantirgli la settima legislatura.