Una delle mode protagoniste degli Anni ’80 e ’90 è stata la multiproprietà: chi non poteva (o non voleva) comprarsi una seconda casa acquistava solo un pezzo di appartamento. Una fetta, anziché la torta intera, insomma. Per chi non lo sapesse, infatti, questa formula consente a una pluralità di soggetti di diventare proprietari di un immobile, di cui possono godere per diversi periodi di tempo nel corso dell’anno, secondo un sistema a rotazione (stabilito in sede di contratto).
Una sharing economy ante litteram, insomma, che piaceva a molti: da un lato era una forma di investimento immobiliare a cifre ridotte, dall’altro un modo per assicurarsi un posto di villeggiatura in cui, almeno per pochi giorni o settimane all’anno, ci si potesse sentire a casa. E così in quei decenni le multiproprietà spuntavano come funghi nel giro di parenti e amici, soprattutto in zone con un elevato valore vacanziero nel nostro Paese (Sardegna, Toscana, Trentino Alto Adige) oppure nelle città d’arte, in Italia e all’estero, da Roma a Venezia, da Londra a Parigi. Appartamenti non troppo grandi, spesso, ma ben arredati, magari nello stile del luogo, e soprattutto in posizione strategica: davanti alla spiaggia, accanto alle piste da sci, in centro che più centro non si può. Il principale vantaggio era il limitato esborso economico, sia iniziale sia per le successive spese di manutenzione, accompagnato dal non avere le incognite tipiche di un contratto in affitto. Lo svantaggio, invece, era la possibile difficoltà di monetizzazione del valore della quota nel momento in cui si dovesse avere una necessità urgente.
Multiproprietà: l’inizio del declino
Tutti felici e contenti allora? All’inizio sì, poi il vento è cambiato. Dopo una prima fase alla volemose bene sono iniziati i litigi tra proprietari per la gestione del calendario di soggiorno oppure per lo stato di manutenzione degli appartamenti, che magari richiedeva interventi non previsti a causa dei danni provocati dagli inquilini. In fondo, sempre di condomini parliamo e, oggi come allora, la lite è all’ordine del giorno, si sa.
Ma soprattutto una rivoluzione era in arrivo: ancora una volta il web stava per stravolgere le nostre abitudini. E così a partire dagli Anni Duemila è diventato sempre più facile organizzarsi vacanze fai-da-te a prezzi stracciati, potendo scegliere luogo e date in maniera assolutamente flessibile, senza doversi mettere d’accordo con altri. Grazie alle prenotazioni online e alla sharing economy, stavolta quella vera, si è fatta strada un’ampia scelta di soluzioni, sia per i trasporti, sia per gli alloggi, dagli hotel ai b&b fino alla moda degli affitti brevi in stile Airbnb, che ha permesso a tutti di farsi una vacanza in appartamento senza gli svantaggi della multiproprietà.
Multiproprietà: i dati parlano chiaro
Risultato? Questa opzione è praticamente scomparsa… Tra amici e parenti non se ne sente più parlare e gli studi sul mercato immobiliare lo confermano: secondo l’Istat, nel quarto trimestre 2021 il 94,0% delle convenzioni stipulate riguarda trasferimenti di proprietà di immobili a uso abitativo (263.795), il 5,6% quelle a uso economico (15.671) e lo 0,4% le convenzioni a uso speciale e multiproprietà (1.066). Un dato, quest’ultimo, in ulteriore declino rispetto al 2018, quando si registrò lo 0,5% (1.154). Insomma, chi l’ha (più) vista la multiproprietà?