Avevo apprezzato il ruolo rappresentato da Enrico Letta come Presidente del Consiglio nella passata legislatura; egli era l’espressione di un’ampia e trasversale coalizione, che si poneva l’obiettivo di traghettare il nostro Paese fuori dalla Seconda repubblica mettendo al centro il Parlamento. Tanto è che rimase al palo il Movimento 5 Stelle, il maggior nemico della democrazia parlamentare, che si proponeva di sopprimere il divieto costituzionale di vincolo di mandato in omaggio a uno dei principali cliché del populismo e del qualunquismo 2.0 (il famoso “uno vale uno”).
Per questo motivo guardavo con interesse al discorso di insediamento del nuovo segretario del Partito Democratico: speravo che, in particolare, si ponesse come primo obiettivo quello di aiutare concretamente il Governo Draghi, tendendo la mano alle forze politiche che lo sostengono – pur nel rispetto delle diversità ideologiche e culturali – per dargli l’alto respiro di un governo delle future regole di ingaggio, e non solo quello dell’ineluttabilità dell’emergenza. Dopo avere ascoltato Letta ieri, ho il timore di essermi sbagliato.
Le provocazioni di Letta
La principale perplessità è dovuta al fatto che il nuovo segretario del Pd, per provare ad arginare l’implosione del suo partito, ha accettato il rischio di indebolire il Governo Draghi. A cosa, o meglio, a chi, è altrimenti servito l’attacco provocatorio e frontale alla Lega? Non certo alla stabilità di un Governo appena insediato, che per fronteggiare l’aumento dei contagi, la realizzazione del piano vaccinale (superando le numerose criticità ereditate dalla precedente gestione Conte-Arcuri) e l’adozione di importanti scelte che riguardano il nostro sistema economico, ha bisogno del convinto sostegno di chi lo ha votato, e non del rinnovarsi delle baruffe.
E’ un concetto ribadito da mesi anche dal Presidente Mattarella, che Letta ha peraltro messo nel suo ideale Pantheon. Che bisogno c’era – in questo contesto – di sostenere anche che il Governo Draghi è il governo del Pd, mettendo al centro della sua agenda politica la legge sullo ius soli e negando alla Lega la dignità di alleato?
Lo ius soli
Oltre al fatto che, come dimostrano le dimissioni di Zingaretti, il Governo Draghi è stato subìto dal Pd, e non certo voluto, la mia critica ruota intorno a una questione di metodo istituzionale, più che di merito: quella dello ius soli non mi sembra una proposta così nuova e rivoluzionaria, per gli elettori democratici, così come mi sembra altrettanto evidente che con la Lega, e più in generale con le forze del centrodestra, sul punto ci sia una distanza incolmabile.
Dunque è stata una deliberata provocazione verso un alleato, con l’obiettivo di stimolare reazioni leghiste che, per l’ennesima volta, provino a dare unità al Pd nel nome di un nemico comune, più che della propria capacità di trovare un’identità politica gestendo la dialettica interna (che personalmente vedo sempre come una risorsa, soprattutto quando del pluralismo si fa un valore aggiunto), riuscendo a farne poi la sintesi.
L’ascia di guerra
Metto la provocazione di Letta allo stesso livello di quella che sarebbe potuta venire dalle forze di centrodestra sulla riforma della prescrizione voluta da Bonafede: una legge che è l’emblema del populismo e che è rimasta l’unico collante dell’originario Movimento 5 Stelle. Essa è ampiamente avversata (anche da molti nel centrosinistra); nell’interesse della stabilità dell’attuale Governo, sulla riforma Bonafede è stata però seppellita l’ascia di guerra dal centrodestra, nonostante fossero numerosi gli emendamenti presentati per modificarla.
Anche il passaggio sul vincolo di mandato parlamentare, che Letta si propone di rivedere per evitare il trasformismo, mi ha lasciato molto perplesso: mi sembra un goffo omaggio al populismo che mal si concilia con un partito che si propone da sempre come il primo interprete della Costituzione, e che grazie proprio al divieto di vincolo di mandato è riuscito ad andare per ben due volte al Governo in questa legislatura. Che si tratti di un “tattico” ramo d’ulivo al 5 Stelle, oppure una resa dei conti verso la scissione di Renzi e Italia Viva, mi sembra in ogni caso un’iniziativa solamente opportunistica e contraddittoria.
I 16enni hanno altri problemi
Anche la proposta di dare il voto ai 16enni mi è sembrata un’inutile provocazione; si tratta di un tema complesso e divisivo, che va affrontato con il dovuto confronto in Parlamento in tempi di calma, non certo con i ritmi dettati dall’emergenza sanitaria. Peraltro, vista la difficoltà generazionale che sta colpendo proprio quella fascia di giovani, a causa della chiusura in casa e della DAD, penso che sia oggi una proposta prematura, soprattutto se abbiamo a cuore il futuro dei nostri adolescenti. Secondo me, come prima cosa, bisogna pensare a garantire loro una buona ed effettiva istruzione.
E Sala passa ai Verdi
Capisco che Letta dovesse un pò scaldare gli animi degli elettori del Pd, disorientati dal modo polemico con cui Zingaretti se ne è improvvisamente andato dopo avere fallito l’operazione “Conte ter”, e dagli esiti negativi degli ultimi sondaggi. Due elementi indubbiamente critici a cui si è aggiunta, proprio due giorni prima del voto dell’assemblea che lo avrebbe incoronato segretario, la scelta di Giuseppe Sala di chiudere una violenta porta in faccia al Pd decidendo di aderire, in modo un pò provocatorio e contraddittorio rispetto alle scelte dell’attuale giunta milanese, ai Verdi Europei all’inizio della campagna elettorale per il suo secondo mandato di sindaco di Milano.
Le reazioni del centrodestra
Io spero che il centrodestra che sostiene Draghi non raccolga le provocazioni, continuando a dare dimostrazione di responsabilità istituzionale, e ricordando che l’agenda di Governo deve avere al centro, almeno per il momento, solo le due uniche vere priorità che ci assillano: la lotta all’epidemia e il salvataggio sociale ed economico dell’Italia. A mio giudizio, è un atteggiamento serio che denota la volontà di impostare l’azione politica su di un approccio molto concreto ai problemi che deve risolvere la Politica: se verrà mantenuto anche in vista delle prossime elezioni amministrative, potrà essere premiato.
Prendiamo Milano: a fronte della scelta di Sala verso il mondo ambientalista e dell’(utopica) Milano dei 15 minuti, ci sono molti problemi concreti che inonderanno il tavolo del prossimo Sindaco, ben elencati ieri sul Corriere della Sera da Andrea Senesi. Per risolverli ci vuole qualcuno che abbia esperienza politica, profonda conoscenza della città e forte pragmatismo: sono le caratteristiche dei grandi sindaci (nel mio personale Pantheon metto Greppi, Bucalossi, Tognoli e Albertini) che abbiamo avuto nel dopoguerra.
(Foto: Niccolò Caranti / Wikimedia)