di Francesco Floris
Cosa vogliono gli agronomi? Un “nuovo piano d’azione per l’economia circolare” che miri “alla strategia sulla Biodiversità” con al “centro il ruolo strategico del Dottore Agronomo e Dottore Forestale” per la piena realizzazione e la costruzione di “un’Europa più sostenibile, più resiliente e più solidale”. Magari prendendo spunto da “La fattoria globale del futuro 2.0” presentata nel 2015 all’Expo di Milano. Una posizione chiara e legittima.
Per non parlare di quanta ragione ha invece Confindustria Radio e Tv. La quale punta a ottenere “strumenti di incentivazione fiscale per le imprese che investono in formazione finalizzata all’inserimento di nuove figure professionali in ambito digitale”. Ma anche “investimenti volti alla riqualificazione e formazione delle professionalità rilevanti per la trasformazione tecnologica e digitale in atto” nonché “incentivi al turnover generazionale” e – ci mancherebbe altro – “all’assunzione di giovani con competenze nelle nuove professioni dell’informazione digitale sotto forma di crediti d’imposta o esoneri contributivi”.
L’Associazione Nazionale Esercenti del Cinema (Anec) ha un piano con i fiocchi: per loro in Italia urgono misure sulla “polifunzionalità delle sale di spettacolo diffuse capillarmente sul territorio” e che sono senz’altro dei luoghi “imprescindibili di aggregazione sociale”. Per non parlare della sensibilità ambientale che li contraddistingue sin dal tempo delle pellicole in cellulosa: “L’esercizio cinematografico” è “già sensibilizzato” rispetto all’utilizzo delle “energie rinnovabili” per favorire “una transizione sempre più green del settore”.
Ma non vorremo mica dimenticarci delle rivendicazioni cruciali di “Italgrob”, la Federazione Italiana Distributori Horeca (Hotel, Restaurant, Cafè) che rappresenta l’importante filiera dei consumi “fuori casa”. Anche per loro è chiaro che “il pacchetto di supporti previsto dal Next Generation EU sia un’opportunità imperdibile per il nostro sistema Paese, colpito pesantemente dalla crisi economica conseguente all’emergenza pandemica”. Come dargli torto. Del resto il settore è “essenziale per garantire l’eccellenza del Made in Italy nel campo dell’enogastronomia, aspetto fortemente ricercato dal turismo internazionale”. E inoltre è un comparto che “segnala all’industria nuovi trend dei consumatori” grazie al suo noto “dinamismo e alla sua capacità di rinnovamento”.
Sono solo quattro delle centinaia di memorie, documenti, audizioni, integrazioni, studi e ricerche depositati in Parlamento a proposito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnnr). Suggerimenti – diciamo così – a politica e governo su come spendere bene i 209 miliardi di euro del Recovery Plan (che sono già diventati 191 miliardi ha detto la scorsa settimana il ministro dell’Economia, Daniele Franco). Una bella torta. Come li spenderemo? Basta chiedere. “Che ruolo avranno i musei nella società post pandemica?” si domanda quell’eccellenza sabauda che è il Museo Egizio. E si risponde: “Vengono percepiti come staccati dalla società” ma “l’agency degli artefatti ci fa vedere come queste istituzioni possano e debbano avere, invece, un ruolo attivo”.
E un ruolo attivo, non passivo, lo avrà anche Alis – l’Associazione Logistica dell’Intermodalità Sostenibile – che ci tiene subito a precisare a deputati e senatori come loro rappresentino il “popolo del trasporto e della logistica”. Un popolo affamato e che gradirebbe importanti investimenti in “sostenibilità ambientale ed efficientamento energetico dei porti”. Come? Attraverso i progetti “Green ports” e poi come dimenticarsi di “Cold ironing” per l’elettrificazione delle banchine. La Società Italiana di Pedagogia si congratula da subito con i politici per aver compreso che “la formazione” è “il vero motore della ripresa”. Per questo è “molto apprezzata” l’intenzione di creare “un effettivo ed efficace sistema di Life-long life-wide learning and education per tutte le professioni e la loro riqualificazione”. Un’idea geniale – qualunque cosa significhi.
Decisamente apprezzabile in questo contesto l’onestà di Federpesca. Che si dice “consapevole della complessità di individuare misure specifiche per il settore della pesca in un programma che riguarda riforme strutturali complessive per il Paese”. E una volta pronunciata questa frase fa il suo elenco della spesa: un “piano di investimenti per il dragaggio e la realizzazione di infrastrutture portuali rivolte ai pescherecci”. Chiaro. Ma se avanzasse qualche soldo perché non “realizzare strutture di vendita diretta nei comuni costieri”, o ancora investire sul “tracciamento di ogni prodotto della filiera della pesca per ogni impresa ittica”. Come si fa a dire di no?
Da non dimenticare l’apporto al Recovery Plan del Coordinamento delle Realtà della Scena Contemporanea (Cresco). Per fare dell’Italia “un Paese più coeso, più attento al benessere dei cittadini, sia nei grandi centri urbani, sia nei borghi sia nelle tante, troppe periferie d’Italia”, Cresco ha tante idee. Ma nello specifico ritiene che lo “spettacolo dal vivo sia centrale, proprio per l’accrescimento e la valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale delle comunità”. Date queste premesse se si potesse mettere una miliardata di euro sul progetto “Turismo e Cultura 4.0” saremmo tutti più tranquilli.
Il Sindacato Italiano dei Balneari non ci sta ad essere l’ultima ruota del carro. Per questo i “custodi” delle nostre spiagge (dietro modica cifra in concessione) dice subito senza mezze parole che il Piano italiano “deve essere l’occasione per affrontare e risolvere il fenomeno dell’erosione delle coste italiane” che “costituisce un’emergenza nazionale meritevole di un impegno urgente e straordinario da parte delle Istituzioni nazionali ed europee”. Anche perché il livello del mare si sta alzando, risucchiando le spiagge e la sabbia. Vedi mai che lo spazio non sia più sufficiente per tutte quelle sdraio, lettini e ombrelloni. Rilancia alla grande il “Toyota Motor Italia” da anni impegnata “nello sviluppo della mobilità ad idrogeno”. Lo fa ricordando a tutti che “La sostenibilità economica dei distributori è un elemento importantissimo e permettere anche alle autovetture (e alla mobilità leggere in generale) di diventare ‘clienti’ di queste stazioni, già finanziate, le renderebbe ancora più sostenibili”.
Chiudiamo questa infinita rassegna – davvero: infinita, come facilmente si può verificare sul sito del Senato della Repubblica – con le cruciali richieste di Confida. L’associazione che rappresenta la filiera del vending (le macchinette di distribuzione cibo e bevande) spiega come la “leadership italiana nel settore della distribuzione automatica ha fatto sì che, sempre in Italia, si sviluppasse il settore degli accessori come, ad esempio, la fabbricazione di bicchierini e palette in plastica per il caffè, aziende anch’esse leader a livello internazionale”. Fantastico, quindi? “Il raggiungimento di un modello produttivo basato in modo predominante sull’economia circolare rappresenta una priorità per tutto il settore della distribuzione automatica”. Per non parlare del capitolo alta tecnologia e digitale. “Nel corso degli ultimi anni hanno iniziato a diffondersi tecnologie che permettono una gestione più efficace delle vending machines sotto il punto di vista dei pagamenti contactless o digitali” ci spiegano da Confida. Purtroppo però, per sostituire con sistemi “cashless” le fastidiose monetine – attraverso le quali si diffondono i virus come il Covid, va ricordato! – serve “installare sistemi di pagamento cashless su un parco macchine che è il più ampio di Europa con oltre 822 mila macchine”. E questo – non sia mai – “comporta un investimento particolarmente oneroso per i gestori del servizio”. Quindi se con i fondi di Next Generation EU si riuscisse a finanziare “incentivi per l’acquisto e installazione di sistemi di pagamento cashless” con “un abbattimento dei costi di gestione da parte degli operatori specialmente su transazioni di piccola entità”, alla collettività e a Confida non dispiacerebbe affatto.