Ci siamo. Dopo anni di sviluppo e decine di milioni di dollari raccolti tra investitori prestigiosi, Chia è pronta a nascere. Si tratta di una nuova criptovaluta e sì, lo sappiamo cosa state pensando: “Un’altra?”. Chia però è diversa. Il suo fondatore è Bram Cohen, l’uomo che ha creato BitTorrent e rivoluzionato il modo di condividere dati online. È dal 2018 che Cohen lavora a una criptovaluta che funzioni diversamente dai Bitcoin, ovvero senza gli enormi sprechi d’energia che caratterizza la tecnologia.
Nella blockchain, l’architettura su cui si basa Bitcoin, la regola vigente è la cosiddetta proof of work. Ciascun utente può aggiungere un blocco alla catena (da cui il nome blockchain) dimostrando “che una certà quantità di lavoro computazionale è stato usato” per crearlo. Questo è il fondamento del problema ambientale di Bitcoin et similia, il fatto che alla base di tutto ci sia l’utilizzo di computer sempre più potenti per poter dimostrare queste “prove”.
Chia invece utilizzerà la proof of space e la proof of time, combinandole per ragioni di sicurezza. Con la primo si usa una certa quantità di memoria nell’hard disk del proprio computer per dimostrare il proprio interesse nel nuovo blocco. Invece del calcolo, quindi, è la memoria di una macchina a fare da “garante”. Da sola, però, questa non basterebbe. È per questo che, parallelamente alla prima, Chia userà la proof of time. La quale fa in modo che tra la creazione di un blocco e quello successivo passi sempre un breve lasso di tempo. In tal modo si assicura che la catena “sia consistente nel tempo” e “se ne aumenta la sicurezza generale”.
Altra differenza con le classiche criptovalute: qui i miners sono chiamati farmers, e da questa settimana, esattamente il 17 marzo, cominceranno a “coltivare” e a scambiarsi i primi blocchi di Chia. Che sia la svolta che serve per risolvere i folli sprechi energetici di Bitcoin?