La scorsa settimana, a Pechino, si è ripetuta una scena a cui ormai il mondo si sta abituando. Il cielo si è fatto giallo, l’aria irrespirabile. Colpa dello smog e dell’inquinamento? Certo, quello non ha aiutato. Ma a colorare il panorama pechinese è stato un altro fattore, la sabbia del Deserto dei Gobi portata dal vento. Il vero problema è però un altro, questo sì di origine umana: è il Gobi che si sta avvicinando, e in fretta. Venticinque anni fa, ad esempio, distava dalla capitale cinese circa 280 chilometri (il deserto è al confine tra Cina e Mongolia). Oggi quella distanza è scesa a 240 chilometri.
Ogni anno, insomma, la Cina “perde” 2250 chilometri quadrati al Deserto, che avanza di circa due chilometri all’anno in direzione di Beijing.
Una danza nemmeno troppo lenta, che sta insidiando geograficamente un’enorme area urbana densamente abitata. Il motivo è ovviamente il consumo di territorio e la deforestazione, unite a pratiche come la monocoltura e l’allevamento intensivo. Tutti fattori che abbattono le barriere naturali tra ambienti diversi, aprendo di fatto la porta alla desertificazione.
Così nel 1978 il governo cinese diede vita al progetto della “Grande Muraglia verde”, una “barriera” di alberi e vegetazione che dovrebbe frenare l’avanzata del Gobi. Un progetto simile è in corso in Africa, ad esempio, ma quello cinese non sembra dare grossi risultati. I dati ufficiali tengono conto del totale di alberi piantati ma non di quelli che muoiono, viziandone la credibilità. Inoltre, come segnala lo storico Nick Kapur, alcune piante utilizzate sono note per aver bisogno di molta acqua, e finiscono per peggiorare le cose.
La Muraglia dovrebbe essere conclusa entro il 2050. Quel che è certo è che avrà bisogno di nuovi fondi per poter mantenere la sua promessa: difendere Pechino dalla sabbia del Deserto.
(Foto: Nick Kapur)