Perchè questo articolo potrebbe interessarti? Sembra scoppiata la pace tra Meloni e Berlusconi, mentre le caselle parlamentari che spettano al governo si stanno completando. Rimangono le figure di competenza dell’opposizione. Pd, 5 stelle e Terzo Polo hanno nominato i capigruppo, ora arrivano le partite cruciali per capire quante opposizioni ci sono in Parlamento.
Resta incandescente il terreno che condurrà le opposizioni alla nuova legislatura. Il Terzo Polo ha già denunciato le avvisaglie di un riavvicinamento tra dem e pentastellati. Asse che sarebbe teso ad escludere Renzi e Calenda dalle cariche che contano. Proprio il segretario di Azione ha annunciato che non la sua coalizione si tirerà fuori dall’elezione dei vicepresidenti delle camere.
Opposizione dura morta sul nascere
“I parlamentari di Azione e Italia viva non parteciperanno alle votazioni dei vicepresidenti di Camera e Senato”. Una scelta in aperta polemica con Pd e Movimento, accusati di spartirsi i quattro posti di competenza alle opposizioni. “Con il Partito democratico non c’è contatto a livello nazionale. Mi sembra chiaro che abbiano scelto i Cinque Stelle per escludersi”.
Il Terzo Polo quindi si smarca dalla “opposizione dura” annunciata da Enrico Letta e Giuseppe Conte. “Potremmo votare i provvedimenti del governo, se sono giusti” ha proseguito Calenda. Che poi però corregge il tiro: “Questo non significa dare la fiducia a Meloni“.
Consultazioni e vicepresidenze
Un malcontento del Terzo Polo che si fa montante, fino a rischiare di arrivare al Colle. Lunedì Matteo Renzi ha balenato la possibilità di investire della questione addirittura il Capo dello Stato; in questi giorni alle prese con le consultazioni per la formazione del nuovo esecutivo.
La linea del principale partito di opposizione – voti alla mano – però non sembra cambiare. Secca la replica di Francesco Boccia del Pd. “Con il loro scarso peso elettorale, Azione e Italia Viva possono al massimo ambire ai ruoli di segretario e questore a Montecitorio e Palazzo Madama; non alle vicepresidenze, che spettano ai gruppi maggiori”. L’ex ministro agli Affari Regionali nel Conte bis rimanda al mittente le accuse. “Non c’entrano gli accordi, ma i numeri in parlamento. Tirare in ballo il presidente della Repubblica è una scorrettezza”.
Capigruppo e correnti
Alle prese con gli scontri intestini tra fazioni, ormai lanciate verso il congresso del 2023, il Pd non sembra avere caselle da concedere ai compagni di opposizione. La spartizione tra le varie anime dem si rispecchia nella distribuzione delle cariche assegnabili. A partire dalla conferma delle due capigruppo uscenti, Debora Serracchiani e Simona Malpezzi al Senato. La prima fedelissima del segretario dimissionario, ascrivibile alla corrente Fianco a Fianco; la seconda di Base Riformista, la corrente di Dario Franceschini.
Nomine a tinte fosche anche in casa 5 stelle. Al fianco di Francesco Silvestri, nominato alla Camera, non ci sarà la capogruppo uscente del Senato, Mariolina Castellone. A dispetto della vigilia, per Palazzo Madama il Movimento ha preferito la senatrice Barbara Floridia. Nuova formazione ma volti noti per il Terzo Polo. Alla renziana Raffaella Paita per il Senato, è stato affiancato alla Camera Matteo Richetti.
La partita delle vicepresidenze conta le opposizioni
Le decisioni di tutti i partiti in merito ai capigruppo si intrecciano con le vicepresidenze di Camera e Senato. L’ala sinistra del Pd, che fa riferimento ad Andrea Orlando, chiede una vicepresidenza. Il nome papabile è quello di Anna Rossomando al Senato. Alla Camera dovrebbe invece andare Anna Ascani, leader della corrente riformista “Energie democratiche”. Rimangono in pista nomine importanti per l’opposizione. A partire dal Copasir, con in pista uno tra Lorenzo Guerini – Base Riformista – o Lorenzo Borghi – vicino a Letta. E la Commissione di vigilanza Rai, reclamata dal Movimento. Partite cruciali e che potrebbero definire quante sono le opposizioni in Parlamento: una, due o addirittura tre.