Perché leggere questo articolo: The Economist, prestigiosa rivista finanza internazionale, associa l’Italia all’instabilità. E la notizia è il fatto che il suo editore è la famiglia Agnelli-Elkann, le cui testate in patria parlano spesso del “prestigio internazionale” oggi ritenuto a rischio ma colpito dalla rivista britannica
L‘Economist targato Exor ci ricasca e pubblica la copertina “Britaly”. Che associa il caos nel governo britannico di Liz Truss a una sorta di “regressione” del Paese di Sua Maestà a livelli del Belpaese. Italia uguale instabilità, lascia intendere la testata di proprietà della famiglia Agnelli-Elkann. Che, da un lato, in Italia, raccomanda coi suoi media alla politica di lavorare per il prestigio internazionale del Paese e dall’altro, all’estero, con i suoi media non fa nulla per tutelarlo. Paragonare la crisi del governo Truss a qualsiasi problema di sistema nella politica italiana non è solo fuorviante. E’ a dir poco strumentale.
The Economist: La Truss come un antico romano
La Truss, travolta nelle ultime settimane dal caos del flop della sua manovra economica e dalle dimissioni del Cancelliere dello Scacchiere Kwasi Kwarteng, è raffigurata come un antico romano, armata di una forchetta piena di spaghetti. Siamo al pregiudizio allo stato puro sullo stereotipo dell’Italia. Non importa che l’Italia abbia una stabilità politica ben maggiore di quella di Paesi come Usa, Regno Unito e Germania.
L’ipocrisia degli Agnelli-Elkann
Certo, per Roma questa non è un età dell’oro. L’Italia vive gravi problematiche ma non è certamente il “malato d’Europa”, o non il solo. La copertina dell’ultimo numero non rende onore alla storia di una testata prestigiosa e di sfama mondiale come l’Economist. E in quel “Britaly” c’è tutta la supponenza di un certo ambiente mediatico, politico, finanziario paternalista e pregiudizievole verso l’Italia. Che ragiona sul Paese sulla base di stereotipi. Si arriva, perciò, a un paradosso.
Da un lato, in Italia i media targati Agnelli-Elkann, in primis Repubblica e La Stampa, in queste settimane piangono lacrime amare per la presunta “perdita di prestigio internazionale” dovuta alla caduta di Mario Draghi. Dall’altro, gli editori permettono che la loro testata britannica spari a zero sull’Italia stessa sulla base di pregiudizi, danneggiando negli ambienti di riferimento quel “prestigio” di cui spesso si parla. Un corto circuito politico, prima ancora che mediatico, che mostra una chiara subalternità culturale alle logiche anglosassoni. E che deve invitare a leggere con attenzione quanto arriva da testate straniere spesso considerate imparziali e super partes.
Dieci miliardi di sussidi in 50 anni
L’Italia, per gli Agnelli-Elkann, sembra andare bene solo quando garantisce sussidi alla Fiat. Il Paese modello di declino per il Regno Unito. Considerando anche il prestito Covid, dal 1977 ad oggi abbiamo versato agli Agnelli dieci miliardi di aiuti.
Spesso l’obiettivo era creare occupazione e sostenere la produzione di veicoli; si può dire che non è stato centrato. E i flop degli Agnelli sono ricaduti sulle casse pubbliche. A fine 2020 Fca dava lavoro in Italia a circa 47 mila dipendenti diretti; tremila in meno rispetto al giugno 2004, data di avvio dell’era Marchionne. Un ventesimo degli addetti auto in Germania. Mentre nel frattempo gli editori dell’Economist sono andati lontano dall’Italia in termini di interesse politico, economico, finanziario
Per l’Economist l’Italia è rimasta quella del 2012
Per l’Economist e la finanza “bene” di Londra, quella progressista, politicamente corretta e mainstream nella condotta di facciata, l’Italia è questa. Il Paese del 2012 in cui dominavano instabilità politica, bassa crescita, fluttuazioni di mercato, legate alla pressione finanziaria. I tempi in cui era considerato il cronico “malato d’Europa”. Per il settimanale un nuovo scivolone. Dopo che, nel 2010, ricordava che l’uscita dalla crisi poteva essere peggiore delle politiche di austerità per l’Europa e nel 2016 sparava a zero contro le banche italiane, ritenute causa potenziale di una nuova crisi sistemica.
In Italia nessun governo si è mai ridotto come Truss
Non è mai successo in Italia, neanche ai tempi dell’egemonia democristiana, che un partito di governo si trovi come i Conservatori della Truss a gestire il potere in solitaria per dodici anni di fila. Mai è successo che una stessa formazione cambiasse premier e linea da un momento all’altro. Come successo nell’avvicendamento Johnson-Truss. Mai che un Ministro dell’Economia si dimettesse dopo solo 38 giorni di mandato come ha fatto Kwarteng e il premier si trovasse commissariato dal suo successore. Mai, infine, che un combinato disposto di speculazione contro la valuta, proteste sociali e crisi economica fossero associati alle conseguenze di una manovra economica di governo. E’ quello che è accaduto al maxi-piano di tagli alle tasse in deficit ora ritirato da Jeremy Hunt, successore di Kwarteng.