di Francesco Floris
La riforma è sul tavolo di Regione Lombardia. Il presidente della Commissione Sanità del Pirellone, Emanuele Monti, ha in più occasioni annunciato l’avvio del progetto di revisione della legge 23/2015 sul sistema socio-sanitario lombardo e tracciato la road map, promettendo investimenti e assunzioni di personale. Ma è tutta la politica lombarda, maggioranza, opposizioni e parti sociali, a muoversi su quella che è la sfida più importante post Covid. La stella cometa da seguire è quella del rafforzamento della medicina territoriale, integrandola con digitale e tecnologia per la presa in carico dei pazienti cronici.
Cooperative di medici, numeri e ruolo
Fra i ruoli più interessanti da analizzare quello delle cooperative di medici in Lombardia. Il 17 marzo sono stati sentiti alcuni degli esponenti in audizione al Consiglio Regionale per raccontare come si sono svolte le loro attività durante l’anno della pandemia Covid. Dagli ultimi dati disponibili sono 41 le forme associate e cooperative di Medici di Medicina Generale (MMG), con dimensioni differenti, distribuite sul territorio delle varie province in maniera omogenea e con un totale di circa 2.500 medici associati sui 6411 in servizio (dati Istat 2016).
Ora le cooperative saranno coinvolte nella campagna vaccinale di Regione grazie all’accordo siglato poche settimane fa con il Welfare di Palazzo Lombardia per il riconoscimento delle attività organizzative (adesione, prenotazione, registrazione nei sistemi informativi) attraverso l’attribuzione di una quota che parte dai 4,50 euro per singola somministrazione di dose del vaccino.
Le coop? Nate per i cronici
Alcune cooperative sono nate proprio in virtù della legge 23, come forma giuridica organizzata e riconosciuta con cui i medici si associano fra di loro e con l’obiettivo di gestire la presa in carico dei pazienti cronici attraverso il meccanismo dei Piani Assistenziali Individuali (Pai), lo schema annuale di prestazioni, esami, visite e documentazione da presentare per i soggetti affetti da patologie croniche. Le coop si occupano de “l’arruolamento” del paziente che avviene attraverso procedure, convocazione e inserimento in piattaforma e di avere una struttura organizzativa per far sì che il paziente segua il piano assistenziale a lui assegnao. Al primo ottobre 2019 risultano 259.335 Pai redatti, l’8,5% delle lettere inviate da Regione per arruolare i pazienti.
Medicina di base è la grande assente
Non tutto ha funzionato al meglio, come dimostrano questi dati e le criticità sulla medicina di territorio emerse con il virus. Sulla medicina di base la presa in carico è proprio la grande assente. Sulla carta ogni Medico di Medicina Generale dovrebbe avere un 30% di pazienti cronici sui circa mille assistiti di media che gestisce. Significa che 775mila pazienti cronici in Lombardia dovrebbero essere presi in carico da cooperative. Il condizionale d’obbligo perché nei fatti non è così. A oggi quel dato si assesta intorno a quota 400mila malati, con gravi disparità territoriali e tra i vari medici.
I problemi? Cultura, digitale e privacy
Perché? Diversi motivi. Gli addetti ai lavori raccontato come ci sia stato un problema legato all’adesione dei medici al nuovo modello di sanità lombarda imposto dalla giunta di Roberto Maroni sei anni fa. Sulle cooperative, ma ancora di più sui singoli medici di base. Resistenze culturali, motivazioni di carattere sindacale dei medici, molti dei quali prossimi al pensionamento, ma anche un problema di sotto finanziamento e un impianto tecnico-amministrativo per la stesura dei Piani farraginoso. Tanto è vero che proprio negli ultimi mesi Regione Lombardia ha provato a mettere un correttivo sulla base dell’esperienza pandemica con una delibera che ha introdotto la semplificazione della procedura per la presa in carico e un occhio di riguardo per digitalizzazione e “barriere” legate alla privacy.
Ampliare la presa in carico
Dentro le maglie della discussione sulla riforma della 23/2015, per ora in fase embrionale, è quest’ultima una delibera che semplifica ma non stravolge il modello. Di fatto un intervento normativo che si pone in attesa della revisione della legge. Tra le discussioni più interessanti che potrebbero prendere piede durante il processo di riforma alcune meritano particolare attenzione: ampliare la presa in carico dei pazienti ad altre forme organizzate tra medici di medicina generale, dalle più piccole e “territoriali”, con 7-8 specialisti che si associano per “servire” un determinato territorio, a forme più organizzate anche dal punto di vista manageriale, elemento di criticità a oggi mancato nella gestione di attività sanitarie a livello “industriale”.
I pagamenti dell’amministrazione: fino a 1 anno
Sicuramente andrà pensato un sistema di finanziamento più cospicuo ma soprattutto efficiente alla luce di una macchina amministrativa di pagamento che oggi è drammaticamente in ritardo: l’attività di presa in carico viene rimborsata mediamente un anno dopo, con eterogeneità fra Ats e Ats, ed è questo un altro dei motivi che ha fatto infuriare i medici obbligati sollecitare l’istituzione per ottenere il pagamento di attività già erogate dopo aver anticipato i costi. C’è il tema della volontarietà, altro disincentivo alla presa in carico. Proprio come per la prescrizione elettronica o la consultazione dei referti online, all’inizio non obbligatori, ora è giunto il momento di intervenire con una norma chiara e stringente.
I provider di servizi
Ci sono aspetti legati ai provider di servizi per i medici, chi fornisce la piattaforme di presa in carico di pazienti cronici che servono per fare una valutazione multidimensionale del paziente, di inquadrare dal punto di vista clinico e socio-sanitario, applicando algoritmi e intelligenze artificiali per indicare il Piano di Assistenza più idoneo e di conseguenza, sulla base di ciò, organizzare le attività della centrale operativa per fare in modo che il paziente sia “aderente” alla terapia e al piano. È quella che in gergo si chiama gestione proattiva del paziente cronico. Basta fare un esempio: ogni Pai più contenere 10-15 aspetti e procedure da espletare nel corso dell’anno: visite, esami, farmaci, screening e quant’altro. Magari coinvolgendo più figure professionali diverse, dall’amministrativo, all’infermiere (Case Manager), al medico al farmacista. Moltiplicando questo dato per le centinaia di migliaia di pazienti cronici in Lombardia ed ecco la mole di lavoro. Una cooperativa che porta sulle spalle da sola questa incombenza rischia di non farcela se non si dota di una piattaforma integrata che gli permette la gestione su scala dei pazienti. Proprio i Provider di Servizi potrebbero diventare in futuro il “partner industriale” delle cooperative, non solo come semplici fornitori ma co-investitori e co-pianificatori di nuovi modelli di assistenza sanitaria e organizzativi per la presa in carico dei pazienti.
Tariffa, dalla prestazione alla cura
L’ultimo aspetto, sentito anche da pezzi di dirigenza del Welfare lombardo, riguarda le logiche di pagamento: passare dalla logica a prestazione a un’altra che premia il “percorso” di cura, con una gestione omnicomprensiva del budget sulla medicina generale. Secondo alcuni addetti ai lavori permetterebbe anche una maggiore responsabilizzazione programmazione sulle prestazioni stesse, perché per esempio al momento della stesura di 10mila Pai annuali in un determinato territorio è già chiaro quali saranno le prestazioni sanitarie da erogare nel corso del tempo e si può quindi organizzare l’offerta in funzione della domanda acquistando dispositivi, creando modelli di governance, assumendo il personale necessario. Non è facile anche perché bisogna fare i conti con la sanità convenzionata, da decenni remunerata a prestazione, ma secondo alcuni l’introduzione almeno su dei “territori-pilota” di una sperimentazione in questo senso, con logica di tariffa omnicomprensiva, potrebbe essere una piccola rivoluzione.