Era già successo nel 2017, quando il suo blog fu bannato da AdSense, la piattaforma pubblicitaria di Google. La storia si ripete ora, con il “ban” del canale di “ByoBlu” da YouTube. Nel frattempo, il blog di “disinformazione” (o fake news, a seconda dei punti di vista) fondato da Claudio Messora, ha attraversato varie fasi. Il governo giallo-verde, quello giallo-rosso, la crisi, la pandemia.
Fake news e libertà di parola
Da anni, quindi, Messora ha a che fare con le conseguenze delle sue bufale – e le misure prese da Google per limitarne la monetizzazione (e diffusione). Non è una novità, così come non è una novità il tentativo dell’ex esperto di Comunicazione per il Movimento 5 Stelle di ergersi a novello Savonarola. La realtà è che la pandemia non ha fatto che acuire il tasso di paranoia dei contenuti di ByoBlu. Già nel 2017 vaneggiava di una manovra oscurantista “orchestrata da Hillary Clinton, dal Parlamento Europeo, da Laura Boldrini, da Angela Merkel”. Il Covid non ha aiutato, e YouTube ha deciso di togliere la pubblicità e gli abbonamenti a Byoblu (il quale sostiene che la piattaforma produca vaccini, tra le altre cose).
Lo scontro tra l’ex blogger e la piattaforma è figlio dell’eterna questione aperta del monitoraggio dei contenuti online. La lotta agli estremismi, alle fake news, alle teorie del complotto che si interseca al diritto di parola, comunque sacrosanto.
Youtube e BLM
“La dittatura del politicamente corretto!” griderà qualcuno. Ma non è così, innanzitutto perché si parla di fake news. Inoltre, un’inchiesta del sito The Markup ha da poco scoperto che YouTube (negli Usa) non permette agli inserzionisti di targetizzare contenuti che parlano di Black Lives Matter. Google Ads blocca anche il termine “black power”. In tutto questo, argomenti come White Lives Matter, white power e altre tag riconducibili a movimenti estremisti sono tranquillamente utilizzabili. Ennesima conferma di quanto la moderazione dei contenuti sia un territorio ostico per queste piattaforme.
Il nuovo algoritmo
Anche per questo giganti come Google sono sempre al lavoro sul logo algoritmo. La sua prossima evoluzione si chiamerà Google Page Experience, è attesa per maggio ma pare si occuperà di velocizzare il download delle pagine web e la loro ottimizzazione per il mobile. Per risolvere l’endemico problema dei contenuti falsi e tendenziosi sui suoi siti, invece, servirebbe un monitoraggio costante. E regole chiare.