Se si volesse fare il miglior uso possibile del dono della sintesi si potrebbe rispondere in maniera molto pratica e veloce a quanto è stato scritto nel titolo. In fin dei conti, infatti, riguardo al passaporto vaccinale, che dovrebbe permettere viaggi in sicurezza, non sappiamo granché.
Eppure nella giornata del 14 aprile gli ambasciatori dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea hanno dato qualche indicazione in più, concordando un mandato che autorizza il Parlamento europeo a proporre un certificato verde digitale: il green pass o passaporto vaccinale. Esso dovrebbe facilitare la circolazione in maniera libera e sicura all’interno della UE e, se possibile, anche fuori.
Che cos’è e a cosa serve il passaporto vaccinale?
Il certificato proverà in maniera istantanea che la persona in grado di esibirlo sia stata vaccinata contro il Covid-19, abbia ricevuto un risultato negativo al tampone oppure si sia ripresa dopo aver contratto il coronavirus. In questo modo, le aprirà le porte per entrare in un’altra nazione.
Ciò non tragga in inganno: il passaporto vaccinale non è una precondizione per esercitare la libera circolazione; esso non è neppure un documento di viaggio. Il green pass infatti non vuole essere strumento discriminatorio, né impedire a chi scelga di non vaccinarsi – ricordiamo che è possibile prendere questa decisione – di poter viaggiare. Naturalmente, è possibile che chiunque non abbia ricevuto le dosi debba sottostare a procedure più stringenti rispetto a chi la vaccinazione l’ha fatta; in quale modo, però, resta ancora da stabilire.
Dal momento che il passaporto vaccinale sarà un documento digitale, esso ha già portato l’attenzione sulla questione privacy. È stato prontamente assicurato che saranno osservate e garantite tutte le disposizioni sulla protezione dei dati sensibili. Il Garante europeo per la protezione dei dati ha infatti recentemente rinforzato il regolamento UE, che è uno dei più severi al mondo. La questione genera sempre molta attenzione ed era quindi doveroso sottolineare questo aspetto. Alcuni eurodeputati hanno proposto di implementare al certificato la crittografia ZKP, Zero Knowledge Proof, protocollo davvero avanzato in grado di garantire sicurezza e anonimato.
Come funzionerà il pass
Tutto partirà dai singoli Paesi membri. Ogni Stato appartenente alla UE dovrà aggiornare il proprio database nazionale, mantenendolo sicuro e implementandolo con firme digitali e dati sanitari. Oltre a ciò, tutti i Paesi dovranno riuscire a controllare la validità del codice emesso da un altro Stato. La cosa è in realtà abbastanza complicata, ben più di quanto si possa pensare.
Ciò si deve all’annosa questione dell’Europa unita: ogni Paese continua imperterrito ad andare per la sua strada. Nonostante la Commissione compia dei grandi sforzi per fare da collante e mantenere il tutto quanto più organizzato possibile, si tratta di un compito davvero ingrato. Il problema non è soltanto con i Paesi terzi – a cui si deve aggiungere il Regno Unito dopo la Brexit – i quali non hanno alcun interesse e dovere, neppure morale, di allinearsi a quanto dica Bruxelles, bensì anche a livello comunitario. Non sono infatti pochi i governi senza alcuna intenzione di abbandonare il sentiero da loro intrapreso in autonomia, magari in tempi nei quali nessuno pensava all’insorgere improvviso di una pandemia di questa portata.
Il passaporto vaccinale sarà gestito da app. Il funzionamento a livello internazionale delle applicazioni, nonché il loro reciproco riconoscimento, saranno demandati al modo in cui verranno comunicati, organizzati, elaborati e archiviati i dati sanitari sui singoli database statali. Capiamo bene l’importanza di avere delle liste che siano in grado di comunicare tra loro, altrimenti l’intero concetto di green pass crolla come un instabile castello di carte.
Un precedente poco incoraggiante
Se pensiamo a quanto è avvenuto, pochi mesi fa, all’alba delle app per il tracciamento dei contagi, difficilmente possiamo rivestire troppo ottimismo nel passaporto vaccinale. Ogni Paese ha infatti a disposizione tecnologie e tempi di ricerca differenti, così come diverse sono le risorse e i livelli di digitalizzazione all’interno della comunità dei 27. Potrebbero dunque spuntare problemi nel processo di creazione e perfezionamento del green pass, così come potrebbe essere disponibile in momenti diversi e anche distanti tra loro, nelle varie nazioni della UE.
Si corre poi anche il rischio di conflitti tra le diverse applicazioni create nell’uno o nell’altro Stato. Il fatto che ogni membro proceda in autonomia potrebbe rivelarsi controproducente.
Quando sarà disponibile?
In Europa abbiamo Paesi che sono davvero all’avanguardia nel campo tecnologico; è il caso, ad esempio, dell’Estonia, La piccola repubblica baltica possiede un know-how molto avanzato relativamente al digitale ed è già davvero avanti nello sviluppo della sua app; tanto che si parla di una versione pilota disponibile entro la fine di aprile.
L’Estonia, però, corre il rischio di ritrovarsi con un’applicazione pronta prima che Bruxelles abbia stabilito standard comuni minimi. Nel caso in cui la app non fosse conforme alle linee guida europee, andrebbe riprogettata da capo o comunque bisognerebbe rendere disponibile una patch capace di omologarla alle altre. Si tratta di questioni tecniche non di poco conto, anche perché non abbiamo considerato quali problemi potrebbero insorgere nel pairing tra le app europee e quelle di Paesi all’infuori della UE. Insomma, nel concreto c’è ancora molto da lavorare.
È dunque difficile stimare quando potrà essere disponibile una simile applicazione, potremmo averne un’idea più chiara non appena sapremo quali caratteristiche essa dovrà riportare.
Un’idea valida appare quella suggerita dalla testata Politico: fare in modo che il passaporto vaccinale riporti un codice QR contenente firma digitale di un’autorità che attesti la vaccinazione, la negatività al virus oppure il recupero in seguito alla malattia.