Perché potrebbe interessarti? Prima di Natale l’ufficio di presidenza di Montecitorio aveva cercato di cancellare la delibera firmata da Roberto Fico che garantisce un minimo di diritti ai collaboratori parlamentari, i cosiddetti portaborse. Così gli onorevoli possono tenersi in tasca 1.800 euro senza problemi. A breve, secondo indiscrezioni, ci sarà un nuovo tentativo di mettere mano alla riforma.
Un nuovo assalto è pronto, dopo il fallito blitz di Natale: l’ufficio di presidenza della Camera non ha abbandonato l’idea di giungere a una modifica della disciplina dei collaboratori parlamentari, i cosiddetti portaborse. Un modo, da parte degli onorevoli, per fare cassa e tenersi in tasca un bel po’ di risorse, circa 1.800 euro al mese. Ed è ormai diventato un obiettivo dichiarato, in particolare per la maggioranza di centrodestra. Ma con qualche sponda tra le opposizioni. Secondo i rumors l’operazione subirà un’accelerazione al primo appuntamento utile. Dunque alla convocazione dell’ufficio di presidenza, dopo che la lunga riunione di dicembre si è chiusa con un nulla di fatto.
Sfruttamento alla Camera
Ma andiamo con ordine: proprio agli sgoccioli della scorsa legislatura, l’allora presidente della Camera, Roberto Fico, ha mantenuto la promessa di mettere mano alla situazione, che vedeva i collaboratori degli onorevoli spesso sfruttati con contratti senza alcuna tutela e inadeguati. Una condizione ben diversa dall’immagine stereotipata del portaborse che si gode i soldi pubblici. Anche perché, al netto dei casi degli amici piazzati dal deputato di turno, si parla tante volte di professionisti che svolgono un lavoro prezioso, preparando gli emendamenti, scrivendo le interrogazioni e predisponendo le proposte di legge. Insomma, un pezzo importante dell’attività parlamentare.
Ciononostante fino ad agosto i collaboratori non avevano alcun quadro legislativo di riferimento, né un contratto-base. Del resto sono sempre stati considerati una voce – tra cui ci sono gli affitti di locali per eventi, stampa e comunicazione per specifici appuntamenti – delle spese dell’esercizio del mandato, pari a 3.690 euro, elargiti mensilmente a ogni eletto a Montecitorio. Di questa somma solo la metà va rendicontata, l’altra può essere spesa senza conoscere la destinazione. Chiaro quale sia l’interesse del deputato.
L’accordo sui portaborse
La delibera voluta da Fico, e approvata dall’ufficio di presidenza nell’ultima riunione utile, ha introdotto un minimo garantito: poco meno di 1.700 euro netti al mese, pari al 50 per cento dell’esercizio del mandato. Una cifra che poteva aumentare sulla base dei singoli accordi, fino addirittura al 100 per cento, tutti i 3.690. Una prospettiva utopistica, ma contemplata. E soprattutto la riforma ha fatto in modo che non fosse più il parlamentare a pagare materialmente lo stipendio, bensì la Camera diventata sostituto di imposta, per garantire la puntualità nella corresponsione dello stipendio.
Un cambiamento salutato con favore dall’Aicp, l’Associazione italiana collaboratori parlamentari, che da anni si era battuta per una regolamentazione più chiara. Non era il “modello Europarlamento” da sempre richiesto, ma un un passo in avanti. Solo che, al momento dell’applicazione, è scattato una sorta di sabotaggio di massa. In totale, infatti, sono stati circa 70 i contratti sottoscritti su un un numero di 400 deputati. Meno di un quarto, insomma.
Meno di mille euro al mese
La ragione di tanta prudenza è emersa gradualmente: in molti attendevano una revisione, ossia una sostanziale cancellazione della delibera Fico, per tornare al passato. E avere mano libera negli accordi con i collaboratori. A dicembre, infatti, in ufficio di presidenza è approdata una proposta che ha fatto insorgere l’Aicp. La possibilità di fare contratti al 25 per cento dell’esercizio del mandato. Questo significa sottoscrivere accordi da meno di mille euro. Proprio nel Palazzo in cui tante volte si parla di diritti dei lavoratori.
Scatenando l’ira dell’Aicp che ha polemizzato sull’approccio del presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che non ha avviato una «riflessione su come assicurare un miglior funzionamento dell’istituzione parlamentare a partire dalla dotazione per gli staff» e non ha avanzato delle proposte nemmeno «sulle revolving-door degli ex-parlamentari o sulla qualità delle regole sui portatori d’interesse adottate». E invece ha avallato l’ipotesi di colpire i diritti acquisiti, di recente, dai collaboratori parlamentari. Un affondo che a breve dovrebbe ripartire.