I giochi sono fatti. Dopo lunghi mesi di lavoro, un governo (Conte 2) gettato a gambe all’aria, ora Mario Draghi è riuscito a portare in Consiglio dei ministri un Piano nazionale di ripresa e resilienza da 221,5 miliardi, di cui 191,5 riferibili al Recovery fund e 30 miliardi per finanziare le opere “extra”. La spinta stimata alla crescita è di 3 punti di Pil nel 2026. Resta aperto un interrogativo non da poco: quanto lavoro porterà nel nostro Paese questa valanga di risorse?
“Serve un Piano straordinario per il lavoro”, afferma il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. “Gli investimenti del Recovery e quelli privati devono avere come obiettivo – sottolinea Landini – il rilancio dell’occupazione, in particolare delle donne, dei giovani e nel Mezzogiorno”. Nelle ultime ore partiti e lobby hanno lavorato per “aggiustare” il flusso finanziario a seconda dei loro interessi.
I numeri, innanzitutto
Ma l’impianto di fondo ha resistito: per la digitalizzazione 42,5 miliardi; per il Green 57 miliardi (il 30% del totale); per le infrastrutture 25,3 mld; per istruzione e ricerca 31,9 mld; per inclusione e coesione 19,1 mld; per la salute 15,6 mld (in totale 19,7 miliardi, sommando altri fondi). Quanto si tradurrà in occupazione e lavoro resta da chiarire.
Sicuramente le tre riforme strutturali che accompagneranno il Recovery, peseranno molto anche in termini occupazionali. A partire da quelle della Pubblica amministrazione, della giustizia e del fisco. Il positivo impulso alla ripresa che ci deriverebbe da un uso efficiente dei fondi europei, ci porterebbero su un percorso strutturale di sviluppo attorno al 3% all’anno. E la disoccupazione scenderebbe in modo più consistente e avremmo (secondo fonti qualificate) un tasso al 6,5% nel 2028 con riassorbimento di cassa integrazione e innalzamento del tasso di partecipazione.
La Pubblica Amministrazione
La riforma della PA, secondo il ministro Renato Brunetta, porterà all’assunzione di 500mila addetti in 5 anni, per lo più in turnover, mentre nella sanità si potrà arrivare al 120%, con un netto incremento dei lavoratori. Tenuto conto della crisi pandemica e della necessità di nuove strutture, come il Centro di eccellenza per le epidemie, previsto dal Pnrr, anche perché l’andamento delle epidemie nel XXI secolo segnala la necessità di un’attenzione particolare alla circolazione e diffusione dei virus, in particolare dovuti a fenomeni di spillover.
L’individuazione, su base nazionale competitiva, di un centro di eccellenza per le epidemie consentirà una pronta e efficace risposta della comunità scientifica nazionale rispetto al sequenziamento dei virus e alle correlate esigenze di ricerca e sviluppo per la cura e il contenimento delle conseguenti malattie. La riforma fiscale (da 60 miliardi) a partire dal 2023, ridurrà il carico fiscale su famiglie e lavoratori di circa 40 miliardi e il cuneo fiscale e contributivo per le imprese di circa 20 miliardi di euro, aiuterà anche l’occupazione.
Giustizia e burocrazia
La riforma della giustizia potrebbe spalancare le porte della ripresa. Infatti, oggi, la lentezza dei processi e’ ancora eccessiva e deve essere contenuta con interventi di riforma processuale e ordinamentale. Necessario anche potenziare le risorse umane e le dotazioni strumentali e tecnologiche dell’intero sistema giudiziario. Resta aperto il problema della transizione, la zona grigia che abolirà il blocco dei licenziamenti senza aver ancora portato a compimento la trasformazione digitale. Nella prima fase, 2021-2022, sarà necessario ottimizzare anche la spinta al rilancio delle infrastrutture e ai comparti destinati a crescere, come il turismo e l’ambiente. Un ragionamento a parte merita il rilancio del Sud, che dovrebbe giovarsi di un 40% delle risorse impegnate.