Le parole di Paolo Maldini nel post sconfitta dell’Olimpico contro la Lazio, passo falso che ha chiuso definitivamente le prospettive di difesa dello scudetto conquistato nel maggio scorso, sono parse ai più una difesa del proprio lavoro e la conferma di una visione divergente sulle prospettive di crescita del Milan.
La disamina di Maldini è scomoda
Il capo dell’area tecnica ha in sintesi ribadito il concetto di non poter fare come lo stesso Milan in altre ere storiche. Andare sul mercato e prendere campioni per accelerare.E nemmeno di poter offrire a quelli che ci sono condizioni che ne garantiscano la permanenza. E’ per questo che in due anni sono partiti Donnarumma, Calhanoglu, Kessie e Romagnoli e da mesi il focus si è spostato su Leao che oggi rappresenta il calciatore più forte della rosa di Pioli.
Una disanima spietata e veritiera, ma anche scomoda perché pronunciata nella notte più buia dei campioni d’Italia; che in questo inizio di 2023 hanno perso la propria identità e non riescono quasi a stare in campo. Qualcosa che difficilmente si può ricondurre a questioni di budget e denaro. Non solo. E’ la seconda volta in pochi mesi che Maldini utilizza queste argomentazioni; quasi con ruvidezza, in momenti di passaggio delicati. Era accaduto anche a scudetto appena conquistato, quando in ballo c’era il rinnovo di contratto per lui e per il direttore sportivo Massara. Firme arrivate in extremis dopo settimane di estenuante tira e molla.
Visioni divergenti tra Maldini e proprietà
Allora si era capito con chiarezza come, nonostante il trionfo tricolore, le visioni restassero diverse e fossero state motivo di confronto duro. Oggi il sospetto è che le divergenze non si siano appianate ma semplicemente siano state coperte dalla straordinarietà della scorsa stagione; quella conclusa con la festa scudetto. E’ facile comprendere, dunque, che le parole dell’Olimpico di Maldini possano non essere risultate graditissime negli uffici delle proprietà (Elliott e RedBird) cui è velatamente indirizzata l’accusa di non voler derogare dalla legge della sostenibilità a tutti i costi.
Anche perché, se è vero che all’area tecnica non è stato consegnato un budget multimilionario sullo stile delle top europee; è incontestabile che almeno a livello italiano il Milan sia stato l’unica grande a poter spendere in acquisti senza l’assillo di dover prima vendere. E’ capitato alla Juventus (De Ligt e non solo), all’Inter (che a giugno dovrà fare sacrifici importanti); alla Roma (come sottolinea spesso Mourinho parlando di “mercatino”) e via via a scendere. Anche al Napoli che ha chiuso il ciclo precedente, lasciato partire tutti i senatori, tagliato costi e ingaggi per rilanciare su un gruppo che con Spalletti sta volando.
I conti del mercato del Milan
Il saldo del Milan è stato negativo di oltre 40 milioni di euro e il ragionamento che potrebbero fare nelle stanze di RedBird ed Elliott è se siano davvero stati spesi tutti bene. De Ketelaere, Origi, Adli, Vrankx, Thiaw hanno dato fin qui pochissimo alla causa e nella maggior parte delle circostanze vanno aspettati. Ma chi li ha scelti? Ragionamenti simili a quelli che nell’inverno pre Covid portarono al logoramento dei rapporti con Leonardo, allora al posto di Maldini. Certo, poi ci fu l’intervista del dirigente alla Gazzetta dello Sport con successivo licenziamento e cause che si sono trascinate in tribunale.
Ma il punto centrale non è dissimile (pur non essendo in nessun modo prevedibile un esito uguale). La proprietà ritiene di essere stata coerente nel progetto di crescita tecnica della squadra e ha lasciato autonomia nelle scelte all’interno di un budget che ha rimesso in circolo i soldi incassati attraverso i risultati del campo. Punto. E se il Napoli ‘low cost’ di Giuntoli e Spalletti sta incantando Italia ed Europa e il Milan no, non è detto che la colpa debba essere della proprietà e basta.