Un settore in cui pochissime persone occupano la stragrande maggioranza del mercato. In cui la moltitudine dei piccoli arranca e scompare. È il mondo degli Nft, i non-fungible token, una tecnologia che permette di applicare una firma digitale (basata su blockchain) con cui certificare l’originalità di un’opera. Attorno a questi token si è sviluppato un business enorme e sorprendente, come quello dell’artista Beeple, che lo scorso febbraio ha venduto il Nft di una sua opera per 69 milioni di dollari.
Ma è davvero così per tutti? L’artista canadese Kimberly Parker ha deciso di scoprirlo, notando come la maggior parte delle piattaforme che permettono la creazione e lo scambio di Nft rendano pubblici i valori medie delle opere – e degli scambi.
Ma la media può essere falsata da pochi risultati altissimi: quello che è importante calcolare è la mediana, che rende più l’idea dello stato generale dell’insieme. È quello che ha fatto l’artista usando i dati di OpenSea – una piattaforma del settore – da cui ha estrapolato alcuni risultati interessanti. Innanzitutto, la maggior parte parte (67,6%) degli Nft viene venduto una sola volta e non ha quindi “vendite secondarie”, che denotano invece una maggiore salute e vivacità del mercato. Di queste “vendite primarie”, poi, il 33,6% sta sotto ai 100 dollari.
Molti siti dedicati agli Nft, inoltre, suggeriscono di mettere come prezzo “base” 0,5 Eth (mezzo Ethereum, una criptovaluta), il cui valore è ovviamente oscillante. A seconda dei giorni questo 0,5 può valere 900 o 1200 dollari. Comunque sia, solo l’1,8% delle opere vendute sembrano seguire questa regola. Tutte le altre, stanno ben più sotto.
Sono solo alcune delle scoperte di Parker, che ha confermato i timori di molti. Quello degli Nft è l’ennesima corsa all’oro in cui sembra facile, quasi inevitabile, fare soldi facilmente. Ma è così per pochi, pochissimi utenti (o artisti). Al resto, il 99%, rimangono le briciole.