L’ultima volta che si sono parlati – a distanza – è finita a schiaffi. Metaforici. Ora che Steven Zhang è tornato a Milano, dove mancava da ottobre, è arrivato il momento del confronto finale con il sindaco Sala sul tema del nuovo San Siro che sta infiammando parte del dibattito politico sulla strada delle elezioni d’autunno. Lo scambio di accuse tra Suning, Inter e Palazzo Marino ha lasciato strascichi e costretto il primo cittadino anche a una parziale retromarcia per chiarire la sostanza del suo pensiero, visto che ai più attenti (ma anche ai lettori occasionali) le sue parole sul futuro incerto dell’Inter e, quindi, sul dossier stadio da congelare erano parse un intervento in corner per evitare di arrivare al passo decisivo. Sala giura che non è così e ha aggiornato la sua posizione, personale e politica.
La trincea oggi è posta sulla questione della continuità: siccome l’accordo sulle volumetrie e sugli interventi a margine è chiuso ed è difficile immaginare che Inter e Milan possano fare nuove concessioni, il sindaco ha chiesto che Zhang gli garantisca la presenza cinese a capo dell’Inter “almeno per tre anni”. Teme di dare in mano le chiavi di un cantiere che andrà avanti mille giorni chissà a chi e si cautela. Una mossa destinata a non piacere alla controparte e, si sussurra, nemmeno al fondo Elliott che attende con rispettosa pazienza che si chiariscano le cose tra Zhang e Palazzo Marino.
La mossa non piace perché da più parti si fa notare come il Comune abbia tutti gli strumenti necessari per garantirsi e perché, Suning o non Suning, l’operazione è in capo alle società che c’erano prima, ci sono adesso e ci saranno domani. Anche se dovessero cambiare padrone. In fondo si sta parlando di un’operazione e di una concessione che sfioreranno il secolo di durata.
Quando Zhang e Sala si sederanno di nuovo al tavolo il tema sarà più o meno questo. Con una riflessione sullo sfondo: Inter e Milan hanno bisogno di poter lavorare per crescere e servono certezze per evitare di finire come Pallotta a Roma, stritolato dai continui rinvii del Campidoglio. Non un aut aut, ma il tempo delle parole è finito. Ci sono i progetti, le varianti trattate negli scorsi mesi e l’impegno a fare in fretta e bene. Manca solo una cosa e, se continuasse a mancare, “si passerà a valutare anche altre opzioni”, frase che circola nelle chiacchierate informali quando si parla della vicenda San Siro.