Perché leggere questo articolo: Perché quello della Siria è un dramma senza fine. E le sanzioni possono solo aggravarlo in questa fase storica. Come ben spiega Sant’Egidio per bocca del suo responsabile relazioni internazionali.
Il terremoto mediorientale del 6 febbraio ha travolto l’area al confine tra Turchia e Siria. In quest’ultimo Paese l’accesso dei soccorsi è reso complesso dalle dinamiche della guerra civile, dalle divisioni tra il regime di Assad e i ribelli, dalle sanzioni internazionali. La Comunità di Sant’Egidio ha proposto a fini umanitari la sospensione delle sanzioni alla Siria per far affluire gli aiuti. Di questo discutiamo con Mauro Garofalo, responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio.
Garofalo, classe 1976, preso parte, come mediatore, alle più recenti iniziative di pace della Comunità di Sant’Egidio. Ha operato in particolare per la riconciliazione nazionale nella Repubblica Centrafricana, in Guinea Conakry, in Libia e in Niger. Con lui parliamo del dramma della Siria.
Dottor Garofalo, Sant’Egidio ha preso una posizione chiara sulle sanzioni alla Siria. Cosa vi ha spinti a questa presa di posizione?
“Il fatto che non siamo in una situazione normale, ma di fronte a un evento straordinario anche considerato il dramma siriano. Quello che ha colpito al confine turco-siriano è un terremoto immenso per le proporzioni del sisma, ma soprattutto impatta in zone dove la popolazione è stremata da dodici anni di sofferenze. Ha colpito indiscriminatamente, causando migliaia di morti, una conta che peggiora di ora in ora, e può aggravare la situazione di milioni di persone che vivono in condizioni precarie”.
La Siria, del resto, è già stata colpita dall’esodo dei rifugiati…
“Assolutamente. E come Sant’Egidio lo sappiamo bene: da anni accogliamo moltissimi profughi, arrivati in Europa grazie ai corridoi umanitari”.
Perché ritenete che la rimozione delle sanzioni sia una priorità?
“Perché ci troviamo di fronte a una situazione tragica e nuova, come dicevo straordinaria in ogni senso, che ci mette di fronte alla necessità di una svolta. Le sanzioni, lo sappiamo, sono state introdotte dall’Occidente per danneggiare il regime di Damasco di Bashar al-Assad. Ma oggi rischiano di aggravare la condizione di milioni di persone che vivono in condizioni di precarietà. Pensiamo solo al tema del costo della vita: mentre in Siria infuria l’inverno e è emerso questo nuovo dramma, molti siriani non hanno denaro a sufficienza per comprare una tanica di benzina o un sacco di riso. Calcolare l’impatto complessivo delle sanzioni sulla popolazione civile di queste sanzioni immani è semplicemente impossibile”.
Tutto questo, dunque, mette l’attenzione umanitaria al di sopra di qualsiasi considerazione politica?
“Sì, esattamente. Questo è fondamentale. La politica, locale e internazionale, verrà dopo. Ora come Sant’Egidio chiediamo un sussulto di umanità. E questo, del resto, va di pari passo con l’evidenza della constatazione che le sanzioni sono uno strumento del passato. A ben vedere fallimentari anche sul piano politico. L’appello che facciamo alla comunità internazionale è in nome dell’unica priorità che conta adesso: salvare vite umane, sia con i soccorsi che con l’aiuto alla popolazione martoriata”.
A tal proposito, si sente parlare di chiusure del confine turco-siriano. Si tratta di un problema per i flussi di aiuti?
“La chiusura del confine turco-siriano rappresenta indubbiamente un problema. La Turchia ha chiaramente una grande attenzione al confine con un’area oltre la quale sono stanziate forze curde e forze speciali di altri Paesi”.
Come Sant’Egidio vi siete mobilitati sia con gli appelli che concretamente sul terreno. Quanto è importante la rete del mondo cristiano per soccorrere la Siria?
“Molto. Pensiamo al ruolo che sta svolgendo il nunzio apostolico della Santa Sede, Mario Zenari. Fondamentale anche per la diplomazia italiana nelle prime ore del post-sisma. Le Chiese di ogni rito, da quella cattolica alle Chiese orientali di antichissimo lignaggio, hanno da sempre provato a stimolare il dialogo per la pace. Ora servirebbero cento volte gli aiuti di prima ed è possibile che arrivino solo andando oltre la logica delle sanzioni.
La risposta al sisma, quindi, può essere l’occasione per riportare pace e concordia in Siria?
“Lo speriamo, in nome del salvataggio di vite umane questo è necessario. Del resto, nel mondo c’è una grande voglia di pace. Papa Francesco e il suo viaggio in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan lo hanno dimostrato. Noi di Sant’Egidio abbiamo vissuto con grande frustrazione e sofferenza la disintegrazione della Siria. Fonte, peraltro, di grandi problemi per le minoranze cristiane che vivevano in città come Aleppo, dove prima della guerra c’era la comunità maggiore del Medio Oriente. Nel 2014 il nostro fondatore Andrea Riccardi propose di nominarla città aperta, risparmiandola dalla battaglia che poi l’ha investita. Ora tutto questo è andato perduto, la Siria non tornerà più nelle condizioni di anteguerra. Ma bisogna salvare il salvabile e qui è fondamentale il ruolo dei cristiani, che devono lavorare per la pace e la coesistenza pacifica in ogni contesto”.
Anche l’Italia si sta attivando per soccorrere i terremotati. Quanto può essere importante l’impegno del nostro Paese
“Molto. L’Italia ha subito tanti catastrofici terremoti. Pensiamo solo a L’Aquila, Amatrice, Norcia, per non scomodare casi remoti e drammatici come Messina. Sappiamo cosa vuol dire la distruzione di un terremoto, sappiamo cosa vuol dire quando la terra trema sotto i piedi. Questo non può lasciarci indifferenti”.