Perché potrebbe interessarti questo articolo? Il dato sull’affluenza, crollato di 30 punti percentuali in Lombardia e nel Lazio, è l’elemento principale delle ultime Regionali. Il sondaggista Roberto Weber analizza con True-news.it i motivi della disaffezione degli elettori. Con una prospettiva preoccupante: «C’è il rischio della tentazione dell’uomo forte».
C’è un problema di tenuta democratica, emersa con la scarsa affluenza, con la classe politica che non ha compreso la drammaticità del momento. E non fa nulla per dare risposte ai cittadini, che così disertano le urne. È un’analisi dura, quasi spietata, quella che consegna il sondaggista ed esperto di dinamiche elettorali, Roberto Weber, che è stato fondatore di Swg e oggi è presidente della società Ixè. La disaffezione dalla politica e dal voto è frutto di «sfiducia e rancorosità” che può sfociare nella tentazione dell’uomo forte. E, allo stato, la tendenza è inarrestabile. Perché un cittadino, che attende più di un anno per una visita o un’operazione, dovrebbe votare?», sostiene Weber in questa intervista a True-news.it.
Il dato sull’affluenza non può passare inosservato, è quasi dimezzato rispetto alle precedenti elezioni Regionali nel Lazio e in Lombardia. Come è spiegabile crollo del genere?
È un dato che viene da lontano. Si tratta di una tendenza a cui stiamo assistendo da varie elezioni Regionali. Ed è inarrestabile. Nessuno lo dice, ma questo è un problema serio di tenuta della democrazia. È un fatto che accade per una molteplicità di motivi.
Quali sono?
Gli elettori cominciano a capire che con questo sistema non hanno alcuna capacità di incidenza sulle scelte. Nessuna. E di conseguenza non vanno più a votare. La questione riguarda tutti, destra e sinistra. Non è l’esito finale che cambia il discorso. Una caduta così forte traduce una sfiducia, direi una rancorosità dell’elettore, che le forze politiche ignoreranno.
Quali prospettive prevede?
Difficile dirlo. Ma di sicuro il vuoto va riempito, se 6 elettori su 10 non votano qualcosa deve nascere. Anche perché l’Italia è un laboratorio di politica, abbiamo inventato quasi tutto. Le forme moderne della politica dell’ultimo secolo, in Europa, sono state tutte influenzate dagli italiani. In Italia c’è lo scivolamento verso una condizione di vita, come non accadeva da tanto tempo e ha un tratto di drammaticità. Attendiamo la risposta. Ma non accadrà, perché i leader non ne sono capaci. L’unica modalità di uscita è la personalità carismatica che emerge.
La tentazione dell’uomo forte?
Il rischio c’è. Negli anni abbiamo assistito ad alcuni investimenti di tipo politico. Prima su Renzi, poi su Salvini e ancora sul Movimento 5 Stelle. Sono tutti andati male.
In Italia è nato un soggetto unico per la sua forma come il Movimento 5 Stelle, proprio come novità “anti-sistema”. Ora cosa potrà scaturire?
Il M5S è nato sulla base della crisi economica del 2008-2009 e dalla crisi dei partiti tradizionali. Ma ha bruciato il patrimonio di consenso con la prova di governo che hanno dato.
Dunque, il Movimento 5 Stelle è stato assorbito dal sistema politico?
È stato riassorbito perché si è rivelato inadeguato alla sfida di governo. Il tema è sempre quello per le classi dirigenti. De Gasperi, Togliatti e altri esempi del passato avevano l’adeguatezza a leggere il proprio tempo.
Allora come se ne esce dal tracollo della partecipazione?
Facciamo un discorso. Tutti i sondaggi, non solo i miei, dicono che 6 italiani su 10 sono contrari alla guerra in Ucraina. Di fronte a un fatto che sta costando miliardi di euro all’Italia, e anche all’Europa, è immaginabile che gli italiani corrano in massa a votare delle forze politiche schierate in favore dell’invio di armi?
Come si interpretano questi numeri?
Si è rotto il rapporto tra rappresentanti e rappresentati. E vale per tanti altri argomenti, non solo per quello della guerra che resta il più macroscopico.
Dal bacino degli astensionisti quali partiti possono attingere?
Questa è una manifestazione di pre-disagio e la classe politica non ha il senso della drammaticità del momento. Anche perché per ora riusciamo a garantire la copertura delle bollette e delle priorità economiche. Quando non ci sarà più quello e non ci sarà più nemmeno il Reddito di cittadinanza staremo a vedere. Con la gente non si scherza.
Certo, ma ci sono alcuni elementi che colpiscono. Nel Lazio, nella mattinata di lunedì, ha votato quasi la stessa percentuale dell’intera giornata di domenica. Si può intervenire su questo punto?
L’elettore non vota, come avevo detto, perché sente di non incidere sulle scelte della quotidianità. Non c’entrano i giorni. Faccio un esempio delle ragioni del distacco: per curarsi oggi, in tempi brevi, oggi bisogna andare dai privati. Ma vale solo per chi può permetterselo. Chi non può, deve accettare tempi di attesa lunghi, superiori a un anno. Tanto che ora il tema della sanità è ritenuto il più importante.
Ma nelle campagne elettorali si parla molto di spese in sanità.
I candidati chiacchierano, fanno dossier, ma non c’è un investimento nonostante la pandemia abbia mostrato i limiti. Di fronte a questo, i cittadini più in difficoltà non votano. E aggiungo: perché dovrebbero farlo. È una cosa ruvida, ma è così.
Al netto della bassa partecipazione, cosa desume dai risultati elettorali?
Quando i numeri dei votanti si restringono, viene riproposto il rapporto di forze preesistente. Il Lazio è sempre stato una Regione di confine, spesso il centrodestra ha vinto. È in bilico. In Lombardia è diverso. Il centrodestra è sempre intorno al 57 per cento. Ora canterà vittoria, insieme a Fontana che in condizioni normali sarebbe andato a casa durante la pandemia. Solo che l’opposizione non ha nulla da offrire. Ma la cosa importante è che nessuno trarrà le conseguenze della disaffezione dei cittadini. Sentimento che sarà confermato dalle prossime Europee.
Insomma, la democrazia così come la conosciamo rischia di non funzionare più?
In altri Paesi, penso l’Inghilterra, hanno degli anticorpi alla bassa partecipazione elettorale. Le Istituzioni funzionavano comunque. Mentre l’Italia si è sempre retta sulla legittimazione dal basso. E se viene a mancare questo elemento, non basta nemmeno l’intervento del Presidente della Repubblica per rilegittimare quel che è delegittimato.