Prima gli investimenti per miliardi di dollari, poi il crollo. Per Spotify i podcast sono stati una scommessa tutt’altro che vincente. Addirittura la piattaforma svedese ha annunciato che sono stati un ostacolo nel 2022 per i suoi bilanci. Una crisi che non riguarda solo le serie audio ma tutto l’indotto della start-up che ha rivoluzionato abitudini e modalità di ascolto. A farne le spese, come numerose big tech, sono stati i dipendenti. Daniel Ek ne ha licenziati 600. Con un paradosso: gli abbonati crescono, i profitti no. A conferma che il modello vincente per i podcast è quello branded. Come testimonia, in Italia, la nascita di Chora Studio.
Podcast, Spotify: nel 2022 ha superato i 200 milioni di abbonati ma ha perso circa 430 milioni
L’azienda svedese nel 2022 ha superato i 200 milioni di abbonati ma ha perso circa 430 milioni. Rispetto ai concorrenti, come Apple, Spotify presenta un modello freemium: si può ascoltare musica gratuitamente – ma interrotta dalla pubblicità – o abbonarsi con varie formule. Che, secondo alcuni osservatori, avrebbero un costo troppo basso. E la pubblicità non aiuta di certo perché fornisce a Spotify solo il 13% degli introiti. A fronte però di un investimento di 7 miliardi per i diritti d’autore dei podcaster. Un investimento che si sta rivelando fallimentare.
Podcast, Spotify: gli investimenti sulle star di Hollywood
Nel 2021 Spotify ha messo mani al portafogli per portare sulla sua piattaforma i podcaster più seguiti negli Stati Uniti. Un esempio: 60 milioni per l’esclusiva di “Call Her Daddy” di Alex Cooper. Ma soprattutto ha puntato massicciamente sulle star di Hollywood, come Jennifer Aniston, fino a celebrities come gli Obama o Megan Markle. Gli investimenti facevano seguito alle grandi manovre dell’anno precedente: 230 milioni per Gimlet Media, altri 200 milioni per The Ringer, la piattaforma sportiva di Bill Simmons. L’obiettivo di Daniel Ek era chiaro: acquistare podcast da milioni di ascoltatori per aumentare gli ascolti, e di conseguenza incrementare le visualizzazioni delle inserzioni. Sembrava una mossa astuta, invece si è rivelata un flop. La compagnia sta cancellando numerose produzioni – come fa notare un articolo di Semafor – anche quelle di prestigiose agenzie come Gimlet. Dopo un’iniziale successo di seguaci, attratti dalle confessioni di Michelle Obama, il pubblico dei podcast più prestigiosi è cominciato a calare. Numerosi creator hanno cominciato a soffrire dell’assenza dei loro progetti su Youtube o Apple. Spotify ha comprato l’esclusiva degli show ma, così facendo, avrebbe limitato il bacino di ascolti.
Podcast, non soffre solo Spotify ma gli ascoltatori aumentano
Uno dei fattori principali che regge la fruizione dei podcast è la fidelizzazione: un ascoltatore si lega, emotivamente, a un host. E segue tutte le sue puntate. E’ il caso italiano di Francesco Costa. La dinamica non si è ripetuta con le strapagate star di Spotify. Che, a quanto pare, non saprebbe tenere buoni rapporti con le case di produzione acquisite. Così Higher Ground, che produce gli Obama, ha lasciato Spotify per entrare nella piattaforma audio di Amazon.
Non soffre, a causa dei podcast, solo Spotify. Come riporta il New York Times, anche altri due importanti editori di podcast, Vox Media e Pushkin Industries, hanno annunciato licenziamenti il mese scorso. E Amazon, SiriusXM, NPR e Spotify hanno tutti ridotto i budget dei podcast nell’ultimo anno, a volte consentendo la scadenza di offerte costose o annullandone altre prima che chiudessero.
Eppure i podcast funzionano: lo scorso anno negli Stati Uniti, secondo un report di Edison Research, le persone che hanno ascoltato almeno un podcast sono salite a 177 milioni. In Italia – leggendo un’indagine di Ipsos – nell’anno appena trascorso si sono registrati quasi 2 milioni di utenti in più rispetto al 2021 e 2,6 milioni in più rispetto al 2020. La quota di audience è passata dal 31% al 36%, segnando la più alta crescita dall’inizio delle rilevazioni. A non funzionare, almeno in casa Spotify non sono i progetti, ma il modello di sostenibilità. Le inserzioni non reggono gli investimenti così come gli abbonati. E i creator non sono mica contenti: Spotify paga 0,07 ogni 1000 ascolti.
Podcast, nasce Chora Studio: vince il modello branded
Fuori da Spotify, le case di produzioni basano i loro introiti sui contenuti branded: storie che intrecciano narrazioni, anche giornalistiche, e promozione aziendale. Non è un caso che proprio ieri Chora Media, ormai un punto di riferimento nel settore, abbia annunciato la nascita di Chora Studio, divisione esclusivamente dedicata alla realizzazione di progetti su commissione. “Studio ci sembrava la parola giusta per evocare la dedizione, la passione e l’approccio sartoriale che fino a oggi abbiamo rivolto a partner e clienti. Sono entrambi valori su cui Chora intende puntare sempre di più, così come l’attenzione alle storie, alle voci e al sound design, elementi distintivi di tutte le anime che ci caratterizzano”, commenta Sara Poma, Head of Chora Studio.
Chora Media: “Il parco clienti comprende oltre 50 realtà attive nelle principali industries”
Ad oggi – comunica Chora – sono già state prodotte 54 serie podcast su commissione, per un totale di circa 305 episodi realizzati. La direzione è quella di un’attenzione crescente alla natura editoriale dei contenuti e alla valorizzazione di un orizzonte di committenti sempre più ampio che ormai da tempo abbraccia anche istituzioni culturali, musei, università e realtà del terzo settore, oltre ad aziende multinazionali e piccole-medie imprese protagoniste del Made in Italy. Il parco clienti di Chora Studio comprende oltre 50 realtà attive nelle principali industries tra cui: Banking, Insurance & Legal, Food & Beverage, Travel, Energy & Construction, Fashion & Beauty, Automotive, Entertainment, Health, Tech.E sono le aziende di questi settori a mantenere attiva la produzione. Oltre Chora, sono numerose le case di produzione rivolte alle aziende.
Branded: “L’80% degli ascoltatori ricorda di aver ascoltato pubblicità di brand”
Da Vois fino a Hypercast. Di recente è stata pubblicata a Milano, dove le agenzie di podcast spuntano come i funghi, “From Podcast to Branded Podcast”, la prima ricerca sul contesto del branded podcast in Italia, realizzata dall’Osservatorio Branded Entertainment in collaborazione con BVA Doxa e con il coordinamento del Direttore Scientifico di OBE Anna Vitiello. Racconta di un aumento degli ascoltatori che ormai non fa più notizia ma soprattutto evidenzia che “l’80% ricorda di aver ascoltato pubblicità di brand nei podcast – ha spiegato Vitiello – e il 70% ricorda di aver ascoltato branded podcast”. Una strada che ha scelto anche Radio 24, l’emittente del Sole 24 Ore, attiva nelle narrazioni per aziende. Insomma, senza clienti che aprono il portafogli, fare podcast sarebbe difficile. Ditelo a Spotify.