Perché questo articolo potrebbe interessarti? Per capire come il pestaggio avvenuto di fronte al liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze possa influire sulle vicende politiche dell’Italia, True-news ha intervistato il politologo Marco Tarchi.
Il pestaggio di fronte al liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze è ormai finito al centro del dibattito mediatico. I riflettori sono puntati su quanto accaduto lo scorso 18 febbraio di fronte ad un istituto scolastico fiorentino, dove è avvenuta una rissa tra studenti. Alcuni, sei, appartenevano ad un’associazione di destra; altri, due, ad un collettivo di sinistra. L’episodio, immortalato da un filmato diventato virale sui social, ha spinto politici e giornalisti a parlare nuovamente del pericolo del fasacismo e di derive autoritarie. Il dibattito ideologico si è presto infiammato. Per capire come questa vicenda possa influire sulle vicende politiche True-news ha intervistato il politologo Marco Tarchi.
L’intervista a Marco Tarchi
Professor Tarchi, l’episodio avvenuto all’esterno di un liceo fiorentino ha riacceso i riflettori sul tema dell’antifascismo. Dal punto di vista politico, pensa che i partiti di sinistra potranno fare leva sulla vicenda per rosicchiare consensi al governo Meloni?
Ne dubito. Se è vero che, malgrado il suo anacronismo, l’antifascismo rimane per la sinistra – soprattutto per quella più estrema – un fattore costante di mobilitazione, la sua presa non va oltre la fascia dei già convinti. Lo si è già visto nella recente campagna elettorale, quando è stato utilizzato abbondantemente, con scarsi risultati. Malgrado il rigonfiamento mediatico, ciò che è accaduto a Firenze non va oltre i limiti, per quanto deplorevoli, di una scazzottata. Magari negli anni Settanta ci si fosse limitati a questo…
Di contro, invece, l’episodio di Firenze può trasformarsi in un boomerang e danneggiare Meloni?
Anche in questo caso, sono scettico. L’elettorato di destra non darà certamente un gran peso ad un episodio ai suoi occhi marginale, e sa bene che sulla violenza il sistema mediatico italiano ha sempre usato il criterio dei due pesi e due misure, a svantaggio della sua parte politica. Semmai lo preoccupano certi slogan minacciosi del corteo organizzato da anarchici e centri sociali.
Quanto conviene, politicamente parlando, a Fratelli d’Italia istituzionalizzarsi ancora di più e allontanarsi ulteriormente da movimenti e gruppi di destra, anche a livello locale, onde evitare il rischio di scottarsi da episodi del genere?
Sarebbe meglio che riuscisse a controllarli e convincerli dell’inutilità e nocività dell’accettare o provocare una logica di scontro fisico. Se li allontanasse, potrebbe provocarne un’ulteriore radicalizzazione, e in ogni caso da sinistra continuerebbero comunque ad accusarlo di essere connivente.
Quanto può pesare, in termini elettorali, il tema dell’antifascismo? Ha ancora un peso rilevante nell’era del populismo e della contrapposizione dell’elite contro il popolo?
Sempre meno. Dubito che vada oltre un 30% complessivo dell’elettorato, malgrado i tentativi di rianimarlo.
Il caso di Firenze e il rischio del ritorno della violenza ideologica
Spostandoci sul lato ideologico, secondo lei c’è il rischio di tornare a respirare un clima da anni ’70, contornato da aggressioni e violenze?
Il rischio c’è, perché all’ultrasinistra, dopo la perdita di attrazione dell’utopia comunista, come arma politica e strumento di mobilitazione è rimasto solo il cosiddetto “antifascismo militante”, non solo in Italia ma in tutta Europa e persino in altri continenti. E sentir gridare «uccidere un fascista non è un reato» non è rassicurante. Però il clima sociale del 2023 non è quello degli anni Settanta.
Quali sono a suo avviso oggi le principali differenze che caratterizzano i due mondi citati – quello dei movimenti di destra e quello della sinistra antifascista – rispetto ai decenni più caldi del passato?
Il drastico calo della capacità attrattiva delle ideologie ha pesato su entrambi i fronti, e non è un caso che sia gli uni che gli altri richiamino in vita i fantasmi di un lontano passato per darsi una identità. Da entrambe le parti, i militanti continuano ad abbeverarsi a una letteratura che ha i suoi capisaldi in autori di un secolo fa. Dei tentativi di emanciparsi da quel retroterra, che seguirono gli “anni di piombo”, non si conserva quasi alcuna memoria. Ma oggi, come aveva profetizzato Marx, la tragedia di un tempo tende a riprodursi come una farsa.
Nell’era dei social, delle dirette live e degli smartphone, com’è cambiata la militanza politica? Ha ancora senso parlare di militanti e militanza (sia da un lato che dall’altro), data la volatilità dell’elettorato?
Sì, i militanti ci sono ancora, ma il loro distacco dagli elettori – cioè dalla gente comune – è molto cresciuto. E certi conati di violenza (penso soprattutto a quelli di anarchici e centri sociali, ma in piccolo se ne possono cogliere esempi anche sul versante opposto) sono espressione anche del disprezzo che i primi, sentendosi una élite incompresa ed emarginata, hanno verso i secondi (i “borghesi”, categoria in cui oggi però è inclusa anche gran parte della ex classe operaia, che difatti vota maggioritariamente a destra). C’è molto nichilismo, in questo panorama.