Perché questo articolo ti dovrebbe interessare? Ogni 8 marzo sono sempre più numerose le manifestazioni e gli scioperi disseminati sul territorio italiano. Non sono solo le donne a scendere in piazza però. Chi c’è con loro e perché? L’abbiamo chiesto a Mara Ghidorzi di Unione Popolare, Renata Polverini ex segretaria generale di UGL ed Elena Comelli di Sinistra Italiana.
Un appuntamento fisso della Giornata internazionale dei diritti della donna è costituito dagli scioperi che popolano le piazze d’Italia. Organizzati da alcuni anni da Non Una Di Meno, la rete transfemminista nata in Argentina nel 2015, ottengono un sostengo sempre più forte da parte di altri enti e categorie. Prime fra tutti i sindacati, che colgono l’occasione per portare all’attenzione pubblica una riflessione sul lavoro e sui diritti in campo lavorativo. In aggiunta si uniscono alle donne i movimenti per i diritti civili, per l’ambiente e il termine dei conflitti bellici.
Uno sciopero intersezionale
Mara Ghidorzi, candidata di Unione Popolare alle Regionali della Lombardia, sostiene infatti a riguardo: “Partiamo da un dato di fatto: questo sciopero cade anche a un anno dallo scoppio del conflitto in Ucraina. Per noi femministe – io infatti mi dichiaro anche femminista – essere in piazza l’8 marzo significa anche uscire da una narrazione che ci vede in guerra. La piazza che ha convocato Non Una Di Meno per l’8 marzo vuole uscire dalla logica bellica, le cui conseguenze pesano sulla classe più povera e più ai margini.
Inoltre molte sono le disuguaglianze nel mondo del lavoro quindi è bene esserci tutte. Non dimentichiamoci però che le donne sono la categoria più colpita (dal mobbing al divario salariale). Lottare per i diritti delle donne è lottare per i diritti dell’umanità. Quindi bisogna lottare tutti insieme. È una piazza intersezionale, che cerca di mettere insieme le diverse istanze e richieste che emergono in questo momento. Questo è il messaggio che dovrebbe spingerci a scendere tutti in piazza”.
Lo sciopero come strumento estremo
Riflette sullo strumento dello sciopero Renata Polverini, ex segretaria generale di UGL ed ex presidente della Regione Lazio. “Io penso che lo sciopero – e l’ho sempre sostenuto fin da quando lavoravo nel sindacato – è sempre un fallimento perché è un’arma legittima ma estrema” dichiara infatti. “Significa che non c’è stata la possibilità di raggiungere prima un obiettivo con altri strumenti. Per l’8 marzo è ancora più vero. Dalla violenza all’occupazione femminile, si vede che c’è un retaggio legato al passato e si fa fatica a progredire in questo campo. Scioperare significa allora usare un’arma estrema per affrontare un problema che, nella sua complessità, il paese non riesce ad affrontare”.
Lo sguardo sulle donne
Non si perde però la specificità dell’8 marzo e il focus sulla disparità di genere. Come spiega Elena Comelli, co-segretaria di Sinistra Italiana Milano, “si sciopera e si manifesta l’8 marzo perché non vogliamo un mondo in cui di donne si parli solo l’8 marzo e in cui di donne si parli solo quando arrivano al vertice. Vogliamo un mondo in cui tutte le donne, tutte le ragazze, tutte le bambine abbiano le stesse opportunità degli uomini, dei ragazzi, dei bambini. Questo riguarda ogni aspetto della vita.
La salute, perché difficilmente si parla di salute al femminile. La scelta di potersi costruire una famiglia, se e come si vuole e non per rispondere a uno stereotipo sociale. E riguarda naturalmente anche il mondo del lavoro, perché è quello in cui la discriminazione verso le donne è più forte.
Le donne a parità di titolo di studio accedono più difficilmente ai vertici aziendali, a parità di titolo e di ruolo guadagnano significativamente meno
Le donne a parità di titolo di studio accedono più difficilmente ai vertici aziendali, a parità di titolo e di ruolo guadagnano significativamente meno. E questo avviene anche nella ricca Milano in cui il 70% delle donne ha un’occupazione. L’altro aspetto è poter scegliere quanto lavorare. Spesso le donne sono le prime a essere chiamate a un lavoro part time. Capita che sia una scelta vincolata agli equilibri familiari, in quanto frequentemente è la donna a dover rinunciare al lavoro per la famiglia.
Altre volte è un part time involontario perché si chiede alle donne di lavorare meno e quindi guadagnare meno. Non è questo il modo in cui si costruiscono opportunità per le donne. Proprio a partire dal mondo del lavoro si possono creare emancipazione, autosufficienza economica e possibilità di scegliere cosa fare della propria vita”.