Perchè potrebbe interessarti? Belve è il format di interviste condotto da Francesca Fagnani con ospiti importanti dal mondo della politica o dello spettacolo. Ogni puntata è capace di lanciare confessioni choc che fanno notizia ma non audience.
Bianca Balti e la sua esperienza con le droghe e la violenza subita. Giacomo Urtis confessa la sua intimità con Corona. La Russa viene stimolato a dire una frase che sa di omofobia. Le lacrime di Giletti. Insomma, non c’è puntata di Belve che non regali, alla stampa e ai social, più che agli spettatori, un titolo, una confessione, una dichiarazione choc. Che fanno gongolare i titolisti, aumentano la visibilità del format sui social ma che forse non giustificano gli alti costi della trasmissione.
Belve, come conquista l’hype
La dinamica è questa: poche ora prima della messa in onda del format condotto da Francesca Fagnani, che si è conquistata il prime time di Rai 2, lo zelante ufficio stampa diffonde le affermazioni più stimolanti rilasciate dall’ospite. Giornali, social e media di tutti i tipi corrono a riportarle. Belve conquista l’hype. Poi la trasmissione va in onda e accade che ogni ospite settimanale apra le porte più intime del suo animo e si lasci andare a racconti choc. E la stampa gli corre dietro. Ma meno gli spettatori.
Belve, flop di ascolti per la prima serata
“Belve”, la scorsa settimana, per la sua terza puntata, è stato visto da 1.061.000 spettatori, pari al 5.9% di share. Una piccola crescita rispetto agli esordi ma un risultato che resta deludente: nella stessa serata sono andate meglio “Le Iene” e la fiction di Rai 1 “Sei Donne – Mistero di Leila”. Va meglio sui social: su Twitter l’hashtag “belve” supera i 18mila tweet. Insomma, un piccolo flop di ascolti tv per un programma che sembra, a questo punto, costruito e destinato per far emergere i lati nascosti, privati o scandalosi degli ospiti. Con il dubbio che si tratti di una messinscena per far girare le confessioni ferine sulla stampa.
Quanto costa il programma? Perchè la Rai lo appalta all’esterno?
Un aspetto importante ma che stride con i costi della trasmissione: qualche giorno fa il quotidiano La Verità ha parlato di un budget di 320mila euro per ogni puntata. Fonti interne alla Rai, ascoltate da True-News.it, possono confermare le cifre. Sborsate dal servizio pubblico in favore di Fremantle, la casa di produzione che produce il programma, prima realizzato con risorse interne. Come accade per quasi il 50% delle produzioni che vanno in onda sui canali Rai. Una dinamica che si ripete di frequente e che vede protagonisti gli stessi gruppi di produzione: oltre a Fremantle, domina Banijay che possiede anche Endemol. Tradotto: sono coloro che firmano programmi come L’Eredità (Rai 2), Il Collegio (Rai 2), Boomerissima (Rai 2) e Top Dieci (Rai 1). La divisione interna “Endemol Share Italy” produce “Il cantante mascherato” (Rai 1), “Soliti Ignoti” (Rai 1), “Tale e Quale Show” (Rai 1), “La Prova del Cuoco” (Rai 1) e “Detto Fatto” (Rai 2)”. Sono i format più noti della tv di Stato, la maggior parte vanno in onda in prima serata. E sono tutte produzioni appaltate all’esterno.
Piani di produzione Rai, il no di Laganà: “Troppa la mole di programmi in appalto totale, parziali e acquisti in particolare nel Prime Time”
Una pratica che si ripete da tempo e non cenna ad arrestarsi. Con maggiore spreco di risorse, pagate dai cittadini con il canone. Lo scorso 4 marzo il Cda della Rai ha approvato i piani di produzione con cinque sì e due no:oltre alla presidente Rai Marinella Soldi e all’ad Carlo Fuortes hanno votato a favore anche Francesca Bria (in quota Pd), Simona Agnes (in quota Forza Italia) e Igor De Biasio (in quota Lega). Voto contrario, invece, da Alessandro Di Majo (M5S) e Riccardo Laganà (rappresentante dei dipendenti). Laganà ha spiegato così i motivi del dissenso: “Ho ritenuto di dover esprimere voto contrario ai piani di produzione e trasmissione 2023 a causa della rilevante mole di programmi in appalto totale, parziali e acquisti in particolare nel Prime Time fino a percentuali, a mio avviso, a medio e lungo termine industrialmente ed economicamente insostenibili”. E ha posto un accenno proprio a “Belve”: “Una produzione fino a ieri realizzata internamente, il cui ricorso all’appalto totale molto spesso determina un significativo incremento dei costi a puntata, oltre a rischi di criticità e disservizi produttivi ed editoriali. Ai professionisti del Servizio Pubblico rimangono solo le belle dichiarazioni di intenti e complimenti di rito che puntualmente, dopo ogni Sanremo, svaniscono nel giro di un paio di settimane. Al momento purtroppo non si percepisce alcuna intenzione di intervenire in modo risolutivo e strutturale sull’annoso tema delle continue e costose esternalizzazioni delle produzioni”.
Gruppi come Banijay o Fremantle – che produce “Belve” – hanno il monopolio nella vendita dei format
Perché la Rai appalta all’esterno pur avendo non poche risorse interne? Laganà se lo chiede e interroga i vertici da tempo. Il 7 settembre 2021 scrive una lettera indirizzata ai vertici di via Mazzini e alla Corte dei Conti: contestava che le fasce più “prestigiose del palinsesto venissero affidate alle società esterne”. Sempre le stesse. Che non lavorano solo per la rete nazionale ma anche per i “concorrenti”.
Una certa somiglianza tra “Tale e Quale Show” e il “Cantante Mascherato”
Il rappresentante dei dipendenti fa notare una certa somiglianza tra “Tale e Quale Show” e il “Cantante Mascherato”, ospitati dalla Rai, e “Star in The Star”, andato in onda su Canale 5. Sembra che gruppi come Banijay o Fremantle – che produce “Belve” – facciano il bello e il cattivo tempo nei palinsesti Rai. Laganà parla “di abuso di posizioni dominanti” e denuncia che l’affidamento a esterni “risulterebbe disattendere il contratto di servizio che prevede la valorizzazione di risorse, creatività e produzioni interne”. “Quante di queste sono inserite nei cosiddetti slot pregiati?”. Alla lettera, segue un’audizione.
L’audizione degli amministratori delegati di Banijay Group e Banijay Italia
Il 14 settembre 2021 Marco e Paolo Bassetti, rispettivamente amministratori delegati delle società di produzioni televisive e multimediali Banijay Group e Banijay Italia, intervengono nella Commissione di Vigilanza RAI in occasione dei lavori legati all’indagine conoscitiva sui modelli di governance e sul ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche con riferimento al quadro europeo e agli scenari del mercato audiovisivo. Laganà ascolta, poi critica: “E’ importante analizzare alcuni passi del loro intervento.
Il minimo comune denominatore è la qualità del prodotto per affrontare le sfide del complesso ecosistema dell’audiovisivo tra OTT e servizi pubblici nella giungla del mercato dell’audiovisivo, proprietà intellettuale, diritti e ricavi commerciali nel sistema misto canone/pubblicità. In tutto questo il concetto profondo di servizio pubblico però rimane molto sullo sfondo e un po’ fuori fuoco”. E ancora, riportava Laganà: “Le grandi società di Produzione, a loro dire, hanno dunque supplito alla capacità di investire, si sono sostituite nella produzione, ricerca di prodotti e creatività, tutte attività che “una volta faceva il servizio pubblico”.
Belve, nato con la società che edita il Fatto Quotidiano
E, infatti, anche lo stesso “Belve” era prodotto internamente dopo che, dal 2018 al 2021, andava in onda sul canale Nove, prodotto da Loft Produzioni. E’ la divisione del gruppo editoriale Seif S.P.A, proprietario de “Il Fatto Quotidiano”. Che ha all’attivo una piattaforma streaming – Loft Tv – piena zeppa di contenuti vicini ai Cinque Stelle. A partire dai documentari di Alessandro Di Battista.
Fagnani ha poi portato le sue interviste clamorose in Rai prima di – pare per motivi economici – affidare il format a Fremantle. Non c’è dubbio che la società guidata da Gabriele Immirzi e Marco Tombolini, i due Co-Ceo, firmi prodotti di qualità, tra cui il successone “Boris”. Il genio non manca così come il fiuto per gli affari e per la divulgazione di confessioni choc che interessano solo alla stampa. Meno che al pubblico.