L’Italia non è un Paese per dottorandi e dottori di ricerca. Il 40% di loro – secondo i dati di una ricerca di Adi (associazione Dottorandi e dottorati di ricerca italiani) che True-News.it ha ricevuto in anteprima – non riesce a sostenersi con i budget previsti dagli assegni di ricerca. Ed è costretto a ricorrere agli aiuti dei genitori.
Dottorati, borse di studio attorno ai 1200 euro
La borsa di studio si aggira attorno ai 1200 euro, fino all’anno scorso era pari a 1132. La maggior parte viene distribuita nelle università del centro-nord dove, con questo stipendio, è impossibile vivere. Si pensi a Milano dove una stanza singola, anche nell’estrema periferia, viene affittata a 700 euro in media. Per chi guadagna 1200 euro, tirare fino a fine mese è complicato. Le Università ne sono consapevoli. “Addirittura – come spiega a True-News.it, Rosa Fioravante di ADI – l’Università di Verona rappresenta un caso esemplare. Nel suo bando, dichiarava che “la borsa non riesce a coprire i costi di vita in città per i tre anni di cicli. “E invitava i dottorandi “a fare leva su risorse proprie”.
Dottorati, le risposte paradossali del governo
Dal governo le risposte arrivano in forma di paradosso. Sono state annunciate 19mila borse di studio: aumentano le opportunità e i posti ma non gli stipendi. E così si incrementa la pletora di precari. Ma i problemi per chi fa ricerca sono diversi. Ancora Fioravanti: “Noi abbiamo un gruppo che monitora i bandi e il dottorato viene considerato come una magistrale. Il punteggio è lo stesso nelle selezioni per la PA o nel settore privato. Da qui un problema di riconoscimento del titolo, fuori asse rispetto a quello che accade in Europa. Chi è dottore di ricerca, ha percorsi agevolati che danno sbocchi dirigenziali. In Italia nei bandi non viene nemmeno riconosciuto”.
Dottorati, l’assurdità dei concorsi per la pubblica amministrazione
Spesso è Adi a spulciare i bandi e a chiedere agli enti promotori di ricordarsi del dottorato. “C’è stato un risultato positivo della nostra azione in Emilia Romagna mentre abbiamo provato a parlare con Brunetta, durante il governo Draghi, ma ci ha chiuso le porte in faccia“. Neanche l’attuale ministro alla Pubblica Amministrazione, Paolo Zangrillo, ha preso in considerazione questa istanza. Insomma, chi studia per tre anni in più rispetto alla magistrale nei concorsi della pubblica amministrazione è equiparato a chi ha un titolo magistrale. Un’assurdità solo italiana.
Dottorati, la situazione nel privato
“Nel privato la situazione peggiore rispetto agli altri paesi europei. In Germania, ad esempio, il titolo non solo da origine a una possibilità di carriera, ma ha un ottimo riconoscimento economico”. L’Italia è un Paese di Pmi ma che – spiega Rosa Fioravanti – “non investe in ricerca”. “Spesso le imprese non sanno cosa sia il titolo di dottorato, cosa si faccia durante i tre anni. Periodo in cui non si fa solo ricerca ma anche project management, lavori di gruppo, divulgazione scientifica. Competenze ignorate da molte imprese”. Che spesso offrono ai dottorandi o ai dottori di ricerca stage non retribuiti e la speranza di un’assunzione che in pochi casi diventa realtà.
Le 19mila borse di studio: ecco le criticità
“Queste famose 19mila borse in più presentano due problemi. Innanzitutto sono a progetto vincolati: sono riusciti a fare un capolavoro nel mettere i soldi dove non dovrebbero andare. Per chi viene dalle materie STEM, quelle borse non sono idonee. Un laureato in ingegneria o informatica, figura richiestissima dalle aziende, non potrà usufruire delle borse. Saranno bandi inevasi. Nelle discipline umanistiche, si costringe il dipartimento di Filologia o di Storia Contemporanea, ad esempio, ad attuare progetti vincolati alla riconversione ecologica. La ricerca, quindi, non è libera”.
ADI: “La ricerca è il principale vettore di crescita del paese”
Il ruolo dei ricercatori non è da sottovalutare. La ricerca è il motore dell’innovazione e della crescita di un Paese. In diversi ambiti. In quello sanitario, per esempio, è nota la storia di Alessia Lai. Biologa molecolare con un dottorato di ricerca, ha 40 anni ed è la ricercatrice dell’ospedale Sacco di Milano che, insieme alle due colleghe Annalisa Bergna (29 anni) e Arianna Gabrieli (37), ha isolato il virus Covid-19. E’ passata da una borsa di ricerca all’altra, trovandosi oggi a lavorare come libera professionista. Ha un contratto di consulenza, la stabilità è un miraggio. La voce di Rosa Fioravante, durante la telefonata, assume un tono quasi rabbioso: “La ricerca è il principale vettore di crescita del Paese. Ed è dimostrato da tutte le ricerche in campo macro-economico: porta ritorni in termini di benessere e di introiti che vengono restituiti all’intera società. E non nelle mani di pochi”.
Rosa Fioravante (ADI): “In Italia stiamo piegando la ricerca agli interessi del privato”
Rosa apre poi un questione fondamentale: “Non può esistere la ricerca applicata senza quella di base. La ricerca non deve offrire risultati immediatamente spendibili. Spesso porta al fallimento ma va contemplato scientificamente. Il percorso ha bisogno di continuità prima di dar vita a risultati. In Italia stiamo piegando la ricerca agli interessi del privato nel breve e medio periodo e poi stiamo definanziando il sapere umanistico che oggi è fondamentale. Il dibattito sull’intelligenza artificiale, quantomai attuale, coinvolge oggi i filosofi: “E’ un tema etico, sociologico che può affrontate chi ha un background umanistico”.
Dal 2008 al 2019 14mila dottorandi migrati all’estero
E così, tra stipendi da fame, scarse opportunità nel pubblico e nel privato, molti ricercatori scappano all’estero. I numeri parlano più delle parole. Dal 2008 al 2019 l’Italia ha visto migrare circa 14.000 ricercatori. Una sorta di esodo di cervelli emerso da uno studio pubblicato nel 2021 in articoli sulla riviste Science and Public Policy e Affari sociali internazionali. E Rosa rincara la dose: “Regaliamo sistematicamente ricercatori all’estero”. E per Adi la causa è la riforma del pre-ruolo, una “non riforma”, per l’associazione.
“E’ stata inserita anche nei piani del Pnrr ma l’obiettivo dei contratti di ricerca è stato dimenticato per strada. L’Italia è l’unico Paese in Europa in cui chi termina il dottorato ha solo il 10% delle possibilità di rimanere in accademia”.
Dottorati, le proposte di ADI
Non solo critiche ma anche proposte da Adi: “Chiediamo che dopo il dottorato ci sia un contratto di ricerca come per tutti i post doc d’Europa. Un contratto di due anni a una cifra che permetta una vita dignitosa, rinnovabile per altri due anni, con tutti i diritti dei lavoratori. Nei primi due anni, il ricercatore può capire se restare o no in accademia o scegliere un altro percorso di carriera. Se la ricerca prosegue positivamente, il dottorando dovrebbe seguire una carriera ordinata e indeterminata”.
La realtà, invece, fotografa una flotta di ricercatori nel mare della precarietà.