A voler rispondere con compiutezza alla domanda “chi è Pierfrancesco Maran” la prima formula che verrebbe in mente è quella dell’efficacia del coraggio, e non sarebbe roba diluita nella mistica degli slogan per tutta una serie di motivi concreti come chi li ha ispirati. La storia politica di Maran è infatti storia tecnica, è la storia di uno che non ha mai deciso di derogare dalla praticità di fare cose in favore della solennità di enunciarle e basta, e forse il segreto di Maran sta tutto qua, condensato nella doppia veste di briscola e tallone di Achille. Lo storico di Pierfrancesco Maran parla chiaro e prende abbrivio da una biografia molto mainstream. È del PD, è amministratore a Milano ed è talmente tignoso sulle tematiche a lui congeniali da trovare agio e spazio sia nella giunta Pisapia che in quella Sala.
Chi è Pierfrancesco Maran: due sindaci, un partito
In entrambe le squadre di governo cittadino ci è entrato con il fregio di secondo consigliere più eletto del partito e su entrambi i team ha messo imprinting grosso come una casa. Teniamocela questa parola, “casa”, perché nella vita politica di Maran e nelle sue scelte etiche tornerà spesso. Pierfrancesco Maran è un consulente aziendale laureato in Scienze Politiche con il pallino della politica attiva e si è fatto le canoniche ossa come consigliere zonale; in quella veste si è occupato di territorio e urbanistica esattamente quando a Milano quei concetti abbandonavano la mistica della sola efficacia e diventavano anche teatro di innesti green.
Pierfrancesco Maran al fianco di Pisapia
Nel 2011 il salto di qualità: Maran entra in squadra con Pisapia e in giunta gestisce Ambiente, Acqua pubblica, Energia e Metropolitane e Mobilità, praticamente lo starter pack delle cose in cui l’efficienza sfratta la logorrea fine a se stessa. In quel contesto si dà da fare un po’ su tutto, ma il focus della sua formazione lo trova sostanziato nella conclusione dei lavori per la Metro M5 e nel raddoppio delle isole pedonali. Politicamente si forma nella battagliera Anci di quegli anni, affamata di nuove sfide a trazione tecno-green, che gli affida la delega alla Mobilità.
Pierfrancesco Maran con Sala, ma non è una “cambiale”
Maran bissa con Sala e viene riconfermato il squadra di governo. Ci mette molto poco a dimostrare che lui non è la “cambiale” che il neo eletto sindaco deve pagare al Partito Democratico per l’appoggio alle primarie e l’input decisivo in campagna elettorale. Sala e Maran hanno un pallino comune: il green come soluzione pratica, e su quel punto di intersezione mettono a condensa molte delle loro energie. Sala gli affida l’Urbanistica e lo mette sul binario delle grandi scelte operative anche in termini di Edilizia Pubblica Residenziale ed Housing sociale, tutta roba con cui Maran si era fatto le ossa con Pisapia.
Roma calamita
La svolta arriva con un paradosso, quello dei bastoni fra le ruote dell’assessore milanese infilati dalla Lega esattamente nel momento in cui la sua parabola operativa tocca lo zenit. Calma e gesso e procediamo per gradi: ad un certo punto l’eco di Palazzo Marino sull’efficacia di Maran arriva a Roma: si fa il suo nome come capo del Dipartimento per le Opere pubbliche. A voler fare somma fra Recovery Plan, esigenze operative dettate dalla pandemia e ruolo strategico di quella nicchia, per Maran è la consacrazione assoluta degli anni trascorsi in una metropoli europea ad applicare le norme della buona urbanistica. Il ruolo sarebbe alle dirette dipendenze del Ministero di Infrastrutture e Trasporti ed è in sincrono perfetto con la contingenza storica in qui gli stessi non devono propagandare riforme, ma sostanziare una rivoluzione totale accelerata da quel che Covid ha fatto ai sistemi complessi occidentali.
La Lega lo blocca, la Lega lo consacra
In Cdm però si sostanzia l’ostacolo politico: il muro della Lega non fa passare Maran, che sta approntando il master plan di Scalo Romana, e lo rimette in ruolo di giunta a Palazzo Marino. Non ci vuole molto a capire che per l’assessore non è stata un’occasione sfumata ma solo la prova provata del fatto che le pastoie di bottega sono freno solo temporaneo alle scelte di opportunità tecnica. Lo sono in un mondo che deve imparare gradualmente a fare a meno delle tenzoni di colore e a valorizzare le competenze. Chi derogasse da questa regola aurea se ne assume le responsabilità e chi di quella deroga fosse vittima si prende una medaglia etica a prescindere.
La paternità: padre, madre e il mondo che cambia
Nel frattempo Maran diventa padre, e dalla casa come concetto di cui si è occupato in punto di governo passa alla casa come luogo dove sostanziare precise scelte etiche che fanno il paio con il clima che per altri versi ma in ideali omologhi si sostanzierà del Dl Zan. A marzo gli nasce un figlio e con la moglie, sfruttando una sentenza della Consulta, gli dà il cognome sia di suo padre che di sua madre: la legge lo permette, l’etica lo impone, l’opportunità lo grida. Tutto così, come la vita di Maran, dove a fare perno è sempre stata l’efficacia del coraggio, o il coraggio dell’efficacia.