a cura di Raffaela Mercurio
Chi, magari come me, si aspettava una moltitudine di colori sgargianti e bandiere della pace utilizzate da tempo dalla comunità LGBTQI+ come vessillo, ha dovuto ben presto ricredersi. La moltitudine umana è stata variegata e senza età sabato scorso, in piazza Scala a Milano, dove si è svolta una manifestazione per protestare contro lo stop alla trascrizione degli atti di nascita di figli di coppie omogenitoriali.
Manifestazione LGBTQI+, circa 10mila persone secondo le associazioni
È sabato. Il centro di Milano è il solito girone dantesco. Si fa faticare a distinguere le persone dai piccioni, ormai proprietari illegittimi di tutta l’area fino alle guglie del Duomo. Con estrema fatica parte il mio slalom per raggiungere Piazza Scala, luogo della manifestazione scelto in un secondo momento in sostituzione alla sede della Prefettura, per riuscire a contenere in sicurezza tutti. L’adesione si prevedeva e si è dimostrata notevole: circa 10mila persone secondo le associazioni Arcigay, Famiglie Arcobaleno e i Sentinelli, promotrici dell’evento.
Manifestazione LGBTQI+, capelli bianchi ovunque
Sono le 15:00, orario di inizio indicato nelle locandine, ed è già un marasma. Lato Galleria Vittorio Emanuele, da cui sbuco affaticata neanche avessi partecipato alla Stra Milano (che si terrà il giorno successivo), mi ritrovo di fronte alla cantante Madame. Non la fermo, non voglio vincere facile, neanche per togliermi il dubbio se lei sia davvero antipatica come dicono ‘i giornali’. Lei è lì, struccata, parte di una minoranza under40 che mi fa strabuzzare gli occhi. Capelli bianchi, capelli bianchi ovunque. Per un attimo mi sale il panico di aver sbagliato orario, giorno, luogo. No, sono nel posto giusto: qui si manifesta per dar voce al diritto di coppie omosessuali di essere genitori di figli schifosamente di serie B.
Manifestazione LGBTQI+: “Siamo qui perché ci sono stati tolti dei diritti che non costavano nulla”
Al centro della piazza un piccolo palco, una serie di ospiti in programmazione a calcarlo. L’ho letto prima di arrivare, lo conferma poi il fatto che tutti guardano verso una direzione. L’audio però è pessimo, simil riunione di condominio ma senza urla. Peccato. Parte da questo momento la mia catalogazione di tutti i gruppi, piccoli o grandi, che sono lì per dare il loro sostegno alla causa. Ho bisogno di loro per capire il livello di rabbia che fa sfrigolare il cemento di Piazza Scala. “Siamo qui perché ci sono stati tolti dei diritti che non costavano nulla. Semplicemente, davano più possibilità a dei bambini di vivere una vita normale. Aldilà dell’essere d’accordo o meno con l’utero in affitto, un bambino ha diritto ad avere due genitori” racconta una esponente del Partito Democratico che preferisce restare in anonimato.
Elly Schlein, la rockstar
“Se il padre riconosciuto morisse, ad esempio, questo bambino diventerebbe automaticamente adottabile da altri e questa è una cattiveria”. Mentre l’ascolto mi rendo conto che attorno a lei non si aspetta altro: Elly Schlein. C’è lo stesso fermento che anticipa l’ingresso di una rockstar o di un Dio che verrà a salvarci da questo mondo infame, redimendoci. Nessuno sa quando avverrà ma bisogna crederci e pregare. Quelle teste bianche che mi avevano stupita al mio ingresso semi trionfale di qualche minuto prima sono presto spiegate con questo. La popolazione PD ha un nuovo Dio, il suo nome è orecchiabilissimo ed esotico, è donna, lesbica, capelli scuri volutamente non curati. È l’antitesi di una bionda Giorgia Meloni, con quegli occhi azzurri tondi e troppo spesso rabbiosi. Siamo di fronte all’atavico duello tra il bene e il male. E io ci sono dentro fin sopra ai capelli.
Giovani Democratici: “Noi crediamo che una famiglia possa non avere una mamma e un papà”
“La mia militanza politica è cominciata sui diritti, sul divorzio. È naturale difendere i diritti civili come questo, cardine di una politica democratica. È così da sempre. Il mondo è andato avanti, Giorgia Meloni no”. La saluto, non voglio toglierle il fermento dell’attesa. Il secondo gruppo che fermo è giovane. Sul volto, brufoli adolescenziali e bandiere arcobaleno. Sono i Giovani Democratici. “Siamo qui perché vogliamo dire no allo stop emanato dalla Prefettura di Milano direttamente in accordo col Ministero degli Interni al riconoscimento di figli di coppie omogenitoriali” mi racconta, “perché noi crediamo che una famiglia possa non avere una mamma e un papà, che i figli possano essere amati anche da un uomo e un uomo o una donna e una donna. Molti bambini crescono addirittura meglio! (ndr, asserzione priva di evidenza scientifica)”. “Tutto questo è figlio di una precisa scelta politica che va a minare i diritti della comunità Lgbt e che noi dobbiamo assolutamente scongiurare. Questo Governo ne sta minando piano piano le fondamenta”, conclude. Nei miei primi 10 minuti da manifestante mi appare chiara una cosa: in questa piazza il vero nemico è uno solo. La Presidente del Consiglio.
Il suo Governo, le sue idee portate avanti in campagna elettorale e non ancora mai smentite nelle sue azioni, il suo essere – come oggi – l’antitesi della voce del popolo. O almeno, la voce che si innalza in questo tiepido pomeriggio di marzo meneghino. Voglio uscire da questo dualismo, voglio sapere dai protagonisti attivi di questa vicenda cosa significa essere qui. Ci sono tanti bambini. Piccoli fagotti vispi che non piangono mai. Come se stessero comprendendo la portata del momento e non volessero sporcarlo con le proprie lacrime capricciose e innocenti.
Sala, la breve ma intensa comparsata
La mia ricerca si interrompe con la breve ma intensa comparsata del Sindaco di Milano Beppe Sala che aveva inizialmente annunciato una partecipazione col cuore ma non con il corpo alla giornata di oggi. C’è, portando alla mente quell’immagine di lui col calzino arcobaleno, su una rossa poltrona Frau, pubblicata sul suo Instagram il 1° luglio del 2022 per manifestare il suo sostegno al Pride di Milano. Protagonista indiscusso nel 2018 di quella che è stata definita “la primavera dei Sindaci” come nei migliori libri di storia. In assenza di una legge sul riconoscimento in Italia, diretta conseguenza dei divieti sulla procreazione assistita, alcuni sindaci ‘eroi’ capitanati dal buon Sala iniziarono a eludere il sistema. A seguito di alcune sentenze della Corte di Cassazione, sempre più amministrazioni locali smisero di riconoscere figli di coppie omosessuali o nati da GPA – acronimo di gestazione per altri o maternità surrogata. Tra le poche città che continuarono a farlo, Milano.
“Ovunque io sia, voglio che sappiate che io sono sempre con voi interpretando il mio ruolo con responsabilità. La battaglia va portata in Parlamento. Io quando ho firmato ho guardato negli occhi queste famiglie, ci ho parlato, ho sentito quello che loro sentono. Applausi. Degli occhi vispi mi fissano, sembrano dirmi: “Hey, scegli me e la mia famiglia, abbiamo qualcosa da raccontarti”. È una famiglia arcobaleno, due donne, un figlio, un amore. “Noi abbiamo avuto già il riconoscimento di nostro figlio a settembre. In teoria dovremmo essere serene ma abbiamo appreso la notizia e in noi si è rotto qualcosa. Oltre alla solidarietà per chi non riuscirà da oggi a ottenere questo diritto siamo consapevoli di quanto questo rappresenti un segnale orribile. L’inizio di un’escalation che non ci meritiamo”, mi racconta il genitore1, per restare in tema.
Genitore 2: “Il mondo è più avanti rispetto alla politica”
“Il percorso da fare era già di per sé complesso. Noi siamo andate in Spagna, preparandoci psicologicamente ed economicamente per anni. Devo però dire che al nostro ritorno, con il riconoscimento del sindaco Sala, abbiamo riscontrato un’accoglienza clamorosa in ogni ambito”. Genitore2 prende la parola: “Il mondo è più avanti rispetto alla politica. C’è un abisso sconfortante” mi dice, sorridendo amaramente. “Le educatrici all’asilo, ad esempio, non hanno mai discriminato il nostro fagotto. Gli ospedali stessi ci hanno trattato come una privilegiata coppia etero. Mi fa sorridere quando gli esponenti del Governo millantano di fare ‘gli interessi dei cittadini’. Ma interessi di chi? Io pago le tasse con la mia compagna, rispetto ogni regolamento possibile. A chi starei dando fastidio?”. Il piccolo sorride, fiero delle sue mamme, fregandose delle nostre chiacchierate.
Il boato per Elly Schlein
Irrompe un boato. È arrivata lei. Dal palco, con la solita acustica imbarazzante, la Schlein dichiara di essere “pronta a presentare insieme a Zan al Parlamento la legge per il riconoscimento”. “È stata una giornata di bellissima partecipazione qui in piazza della Scala” continua, “dove molte persone e molte famiglie rivendicano i loro diritti negati. Noi siamo al loro fianco per contrastare ogni forma di discriminazione che colpisce i loro figli. È stata davvero una giornata bellissima. I piccoli sorridenti, con una penna unicorno tra le mani. I più anziani, quelli che popolano il nostro Paese, forse più convinti di voler cacciare Giorgia Meloni che di andare ai compleanni di figli di coppie gay. In mezzo, tutti noi. Impazienti nell’attesa di un nuovo Dio che ci redima tutti da queste bagarre fuori contesto, fuori luogo, fuori mondo. Andiamo a casa.