Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il Ponte sullo Stretto è tornato di stretta attualità e, con esso, anche il dibattito che da anni ruota attorno la possibile realizzazione dell’opera. Interessanti le varie posizioni espresse in questi giorni in Calabria, regione in prima linea in caso di apertura dei cantieri
Spesso lo Stretto di Messina viene identificato come lo specchio d’acqua che divide Messina con Reggio Calabria. Si tratta del resto delle due città metropolitane che si affacciano su questo angolo di Mediterraneo, due realtà che da secoli condividono gioie e dolori della comune appartenenza allo Stretto.
Un ponte di mezzo
Un dualismo, quello tra Messina e Reggio, che a volte fa dimenticare altre realtà limitrofe. Come quella, in primo luogo, di Villa San Giovanni. È qui che attraccano le navi che fanno la spola con la Sicilia. Ed è sempre qui che ha sede Punta Pezzo, la punta calabrese cioè più vicina a Capo Peloro e quindi alla terra di Trinacria. Per questo la cittadina è tornata a essere al centro del rinnovato dibattito sul ponte sullo Stretto. Non solo il pilone sulla sponda calabrese, ma anche i raccordi ferroviari e autostradali per raggiungere la Sicilia passerebbero tutti da Villa. Non c’è quindi luogo migliore per capire gli umori e gli orientamenti della società e della politica locale a proposito di quella che, a cantieri conclusi, rappresenterebbe una delle opere più importanti d’Europa.
Se nel resto d’Italia le vicende relative al ponte hanno rappresentato poco più di un dibattito politico, a Villa San Giovanni la situazione è invece molto diversa. L’opera non è soltanto un progetto su un pezzo di carta, ma anche un qualcosa che da decenni tiene in attesa i cittadini. A dimostrarlo c’è anche un cantiere, iniziato nel 2009 e concluso nel 2012, in località di Cannitelle. Qui è stata realizzata una variante della ferrovia tirrenica per evitare che i binari intralciassero il pilone sulla sponda calabrese.
Il dibattito a Villa San Giovanni
Si tratta dell’unica opera propedeutica al ponte ad oggi realizzata. Ma si presenta come un cassettone di cemento armato isolato e avulso dal contesto circostante. Forse è anche per questo che a Villa San Giovanni si pretende chiarezza. A dirlo nei giorni scorsi è stato il sindaco, Giusy Caminiti. Giornalista prestata alla politica, il primo cittadino ha spiegato in diverse occasioni pubbliche di non avere preconcetti ideologici sul ponte. Ma, al tempo stesso, di voler capire nel dettaglio le intenzioni del governo. “È una posizione che confermo – ha dichiarato Caminiti su TrueNews – siamo una piccola cittadina dove il ponte inevitabilmente avrà un suo grande impatto. Quindi vogliamo capire quali sono le reali intenzioni e come ci si muoverà”.
La città, ha poi raccontato Caminiti, sembra seguire con una certa disillusione il nuovo dibattito. L’opinione pubblica di Villa non è mai apparsa del tutto contraria all’idea di ospitare il ponte. Anzi, quando nel 2009 è stato aperto il cantiere per la variante della ferrovia in molti hanno accettato l’idea di diventare base per una delle opere più importanti d’Italia. Ma dopo tanti anni di attesa e dopo decenni di tira e molla politici, oggi prima di farsi un’idea stabile si aspettano novità più concrete. “Non manca la disillusione e lo scetticismo”, ha proseguito il sindaco. Nessuno cioè si azzarda a vedere nel ponte un “sogno” oppure un incubo.
Le reazioni della classe politica calabrese al progetto
Gli umori di Villa San Giovanni probabilmente sono gli stessi di buona parte dell’opinione pubblica calabrese. Anche se, risalendo la A2 verso nord, il dibattito dirada inevitabilmente verso una direzione più politica. A Catanzaro, sede del consiglio regionale, gli orientamenti rispecchiano quelli dei partiti nazionali.
La giunta, guidata dal forzista Roberto Occhiuto, nei giorni scorsi si è mostrata favorevole al ponte. L’assessore ai trasporti, la leghista Emma Staine, ha dato ampio sostegno alle recenti azioni del governo e in particolare del ministro Matteo Salvini. Contattata da TrueNews, Staine ha confermato la posizione della giunta calabrese. Secondo il governo regionale, il ponte è da considerare come un’opera prioritaria per lo sviluppo dell’intera regione e del mezzogiorno.
Più caute invece le posizioni dell’opposizione. “Il ponte senza alta velocità, 106 e A2 rimane soltanto uno spot vuoto e inutile per la Calabria”, ha dichiarato nei giorni scorsi il capogruppo del Pd al consiglio regionale, Mimmo Bevacqua. Il timore del centrosinistra in Calabria è che sull’infrastruttura vengano dirottati molti sforzi a discapito di altre opere che il territorio aspetta da tempo. E che quindi, alla fine dei lavori, il ponte si dimostri una mera cattedrale nel deserto.
L’attesa del rendiconto su costi e benefici
L’interesse più vivo per i calabresi, in un’area da anni costretta ad arrancare a livello economico, riguarda l’impatto occupazionale del cantiere. Il ministro Salvini nei giorni scorsi ha parlato di almeno 120.000 lavoratori da impiegare per la costruzione dell’opera. Una cifra presa dai documenti di WeBuild, l’azienda capofila del consorzio Eurolink che nel 2005 si è aggiudicato l’appalto lanciato dal governo Berlusconi e interrotto nel 2013 dal governo Monti.
Considerando il progetto a campata unica, quello approvato nel 2003 e riesumato con il recente decreto del governo Meloni, WeBuld ha stimato per la precisione 118.000 unità a lavoro nei sette anni di cantiere. Si tratta di un dato comprensivo sia dei lavoratori impiegati sul ponte che quelli impegnati nelle opere di contorno e nell’indotto. Nel primo anno di lavori, secondo quanto dichiarato nel 2021 dall’amministratore delegato di WeBuild, Pietro Salini, si procederebbe all’assunzione delle prime 40.000 unità. In quell’occasione però, Salini ha parlato di 100.000 lavoratori complessivamente impegnati.
Dati certi quindi non ce ne sono. Ad ogni modo, considerando il progetto del 2003, è possibile ipotizzare un cantiere in grado, a regime, di generare comunque ben oltre gli 80.000 posti di lavoro. Non ci saranno infatti soltanto operai a lavoro sul ponte. Occorrerà costruire altre infrastrutture per collegare la campata unica con i nodi autostradali e ferroviari locali. Per dare un’idea, a Messina per unire il ponte con le autostrade e con la ferrovia, servirà realizzare lunghe gallerie sotto i Peloritani. Opere che richiederanno da sole migliaia di lavoratori e che, a loro volta, potranno generare altro indotto.
La scommessa del ponte
Non tutti però, sotto il profilo prettamente lavorativo, appaiono condividere toni esultanti. Nel 2001, nel momento in cui avanzava l’iter verso l’appalto del 2005, uno studio condotto dalla società di consulenza Pricewaterhouse Coopers e dal Centro di economia regionale, dei trasporti e del turismo dell’Università Bocconi, ha valutato con un saldo negativo l’impatto occupazionale del ponte. Finiti i lavori infatti, per la manutenzione ordinaria dell’opera servirebbero 480 addetti. Questo a fronte invece delle 1.234 unità impiegate nei servizi di traghettamento destinati, a ponte ultimato e aperto, a essere drasticamente ridimensionati (seppur non eliminati del tutto). Dunque, è stata stimata una perdita netta di 764 posti di lavoro. La scommessa del ponte però riguarda anche, tra le altre cose, la crescita complessiva del territorio dopo la chiusura dei cantieri. Una scommessa che punta su una maggiore capacità di attrazione per gli investimenti, alla luce di distanze ridotte con il nord Italia e dell’inserimento nei corridoi europei. Ma qui si va, per l’appunto, nel campo delle ipotesi. E nessuno studio al momento può dare ragione a sostenitori e detrattori del ponte.