C’è una cosa che non capisco. Da una parte c’è la santificazione di un martire, che è cosa buona e giusta. Navalny ha dato la vita per opporsi a Putin, che è nemico dell’Occidente. Ha rivelato i lati più inconfessabili dello zar. E’ morto per questo e ora viene beatificato. E’ giusto. Dall’altra parte intanto c’è un certo Julian Assange, che ha fatto quel che nessuno aveva mai fatto: ha svelato al mondo gli orrori del nostro più grande alleato, gli Stati Uniti d’America. Orrori che in parte sono perfettamente comprensibili, perché la guerra è qualcosa di tremendo e non è certo un’arte pulita da educande. Orrori che però la più grande democrazia del mondo non si può permettere.
Assange rischia 175 anni di carcere. E a pochi sembra interessare
E se siamo giornalisti, così come sono giornalisti quelli che affollano i grandi giornali americani, che non risparmiano niente al potere Usa, dal Vietnam in poi, non possiamo non accorgerci che la politica italiana fa le marcette per Navalny, che è morto, e non fa altrettante marce per Assange, che rischia l’estradizione e 175 anni di carcere negli Stati Uniti. In questo non c’è una critica agli Usa per favorire il dittatore Putin. In questo c’è tutto l’amore del mondo verso gli Usa, perché solo la verità permette di correggere i sistemi che sbagliano o che hanno preso vie lontane da quella, maestra, della democrazia.