Dopo la carenza di semiconduttori, la crisi energetica e i conseguenti ritardi dell’industria logistica, potrebbe presto arrivare un nuovo terremoto globale. I segnali più evidenti lasciano presupporre che la prossima battaglia riguarderà il settore agroalimentare e, più in particolare, si concentrerà sull’approvvigionamento di cibo. I primi effetti sono già sotto gli occhi di tutti, visto che nel 2021 i “prezzi agricoli” sono cresciuti del 30%, mentre nel corso di quest’anno, secondo alcune stime, uno degli alimenti base come il pane potrebbe arrivare a costare 3 euro al chilo. Qual è la faglia che ha innescato questo terremoto? E quali potrebbero essere le sue conseguenze nel medio-lungo periodo? Per rispondere a domande del genere bisogna guardare verso Oriente.
La Cina teme l’isolamento e fa scorte di cibo
Oltre la Muraglia, la Cina ha portato ai massimi livelli una aggressiva politica di accaparramento delle scorte alimentari. Colpa, in gran parte, delle molteplici tensioni internazionali, della nuova Guerra Fredda tra Washington e Pechino, di una pandemia della quale non si conosce la fine e degli attriti commerciali tra il Dragone e l’Australia, giusto per citare un importante partner commerciale agroalimentare dei cinesi. Ebbene, probabilmente temendo una sorta di isolamento o di taglio dei commerci, la Cina ha incrementato l’accumulo di cibo per farsi trovare pronta di fronte a ogni evenienza. Ma alla base di questa sorta di fame atavica troviamo anche esigenze strutturali, date dall’enorme quantità di cittadini da sfamare (circa 1,4 miliardi) con poche terre fertili a disposizione in proporzione al numero di abitanti.
Fusioni e acquisizioni avviate da anni
Nel frattempo, le grandi industrie agroalimentari stanno stringendo i muscoli da anni, tra fusioni interne e acquisizioni di aziende straniere. Ad esempio, Wh Group, il più grande produttore di carni in Cina, ha acquisito aziende in Germania, Polonia e Olanda, arrivando a detenere posizioni di primo piano negli Stati Uniti e nei mercati chiave d’Europa. La piattaforma globale di questo colosso integra poi una consolidata catena commerciale di carne suina – tra cui produzione, macellazione e lavorazione di maiali – a una distribuzione capillare su scala globale di carni confezionate e non. Eppure, nonostante ciò, il processo di accumulo cinese non si è affatto fermato. Anzi. Se diamo uno sguardo ai dati pubblicati dalla General Adiministration of Customs of China (GACC, un’agenzia amministrativa a livello ministeriale), notiamo come nel 2010 la Repubblica Popolare importasse poco più di 20 miliardi di dollari di scorte alimentari; scorte raddoppiate tra il 2012 e il 2013, triplicate nel 2018 e arrivate a toccare quasi i 100 miliardi di dollari annui nel 2020.
Quest’anno la Cina deterrà il 60% delle riserve di mais e riso globali
Stando ai dati sbandierati dal Dipartimento dell’Agricoltura americano, nella prima metà del 2022 la Cina – che controlla circa il 18% della popolazione mondiale – arriverà a detenere il 60% delle riserve di mais globali, il 51% di grano e il 60% di riso. Come se non bastasse, il Dragone continua ad accumulare enormi quantità di carne, a maggior ragione dopo i problemi causati alla peste suina africana che ha colpito gran parte degli allevamenti della Repubblica Popolare tra il 2018 e il 2019 (all’epoca ci fu un aumento del 40% del prezzo di carne di maiale tra i consumatori dell’ex Impero di Mezzo).
La strategia della Cina provoca un aumento dei prezzi nel resto del mondo
Il punto fondamentale è che oggi le mosse della Cina, massima potenza economica al pari degli Stati Uniti, influenzano in modo più o meno diretto le tendenze economiche rilevabili nel resto del pianeta. Dal punto di vista europeo, l’accumulo cinese di cereali, mais e altro ancora, porta dritto a una doppia conseguenza: la penuria di quegli stessi beni alimentari per gli altri Paesi e un loro aumento dei prezzi. Nel periodo compreso tra il gennaio e il settembre 2021, la Cina ha infatti importato più cibo di quanto non ne avesse fatto dal 2016, provocando un inevitabile aumento dei prezzi “alimentari” in tutto il mondo. Qin Yuyun, responsabile per le riserve di cereali presso la National Food and Strategic Reserves Administration cinese, ha spiegato a Nikkei Asian Review che l’attuale riserva nazionale di grano è in grado di garantire autonomia e approvvigionamento al Paese per un anno e mezzo. “Il livello è tale da averci messo totalmente al riparo da qualsiasi dinamica legata alla catena di fornitura globale”, ha spiegato il funzionario.
Cosa ne farà la Cina delle scorte che ha accumulato?
Insomma, grazie a una simile crescita di riserve alimentari è possibile affermare che la Cina è di fatto diventata autosufficiente in un settore altamente strategico. Questo porta a due considerazioni. La prima: l’Unione europea dovrebbe iniziare al più presto a rafforzare la produzione agroalimentare continentale, oltre che a incrementare lo stoccaggio dei generi alimentari più sensibili e soggetti a repentine oscillazioni economiche; la seconda: la Cina si è trasformata in una sorta di supermercato a cielo aperto a uso e consumo interno oppure, intuendo l’arrivo di una possibile tempesta globale, si è preparata per intervenire sulla fornitura internazionale di cibo nel caso in cui il resto del mondo dovesse avere problemi? Se così fosse, Pechino ha già tutte le carte in regola per diventare – ancora una volta dopo la pandemia di Covid – un attore di primissimo piano.