Non ho mai risparmiato le critiche al Partito Democratico. Ma non mi piace quando si prende in giro una buona abitudine di un partito. Sento da un po’ di esponenti del centrodestra una sorta di sfottò rispetto alle procedure di rinnovo della segreteria dei Dem. Intendiamoci: sono riusciti a far disamorare la gente di una pratica – ovvero le primarie – che erano invece un tratto distintivo bellissimo e inclusivo di quel partito. Le hanno negate anche quando avrebbero potuto farle (leggasi per le Regionali lombarde), le hanno fatte diventare qualcosa che ogni tanto c’è e ogni tanto no, a convenienza.
In molti hanno detto: le primarie non sono un totem
In molti hanno detto: le primarie non sono un totem. E invece sì, lo erano e lo sarebbero dovuto essere anche oggi. Perché l’unica vera differenza erano le primarie per individuare i gruppi dirigenti. Per dare innovazione e rinnovamento. E invece guardate che cosa sono diventate: una roba imbastardita, ultra complessa, con mezze figure. La prima parte delle primarie in cui si vota nei circoli e poi la finale in cui c’è la scelta secca della gente. Ma perché? Perché complicare quel che era semplice, quel che era un bel dibattito? Perché metterci cinque mesi? Perché farle per il partito e non per i candidati governatori? Il problema delle primarie è chi non vuole farle. E chi le sabota, pezzo dopo pezzo. Gli altri partiti stiano zitti, perché manco ce le hanno. Ma avercele così, sia detto chiaro, non è neanche un gran vantaggio.