La spiaggia libera per molti italiani rimane un miraggio. Le nostre coste, infatti, sono un susseguirsi di lidi e stabilimenti balneari che in molti casi rendono problematico l’accesso al mare, anche se per legge non può essere interdetto l’accesso in spiaggia (per tre cinque metri dall’acqua) a nessuno.
La spiaggia libera è un diritto con regole precise
Il libero accesso deve essere garantito a tutti, anche a coloro che non vogliono o non possono spendere decine di euro (in alcuni casi diventano migliaia se il lido è per vip, veri o presunti) per usufruire di lettini e ombrelloni e poter fare un bagno.
Ad ogni modo, scrive il sito laleggepertutti, esistono delle regole che riguardano la fruizione della spiaggia e che devono essere sempre rispettate sia dal bagnante sia dal titolare della concessione balneare. Ecco le più importanti:
- chiunque, anche se non ha comprato il biglietto d’ingresso, ha il diritto di entrare in uno stabilimento e di attraversarlo per raggiungere la battigia, il mare o una spiaggia libera vicina. Significa che il titolare non può chiedere di pagare solo per passare attraverso lo stabilimento. Se così facesse, l’episodio potrebbe essere segnalato alla Guardia costiera o ai Carabinieri;
- è tenuto a pagare per entrare in uno stabilimento balneare solo chi usufruisce dei servizi, come ombrellone, lettino o sdraio;
- il bagnante ha diritto a sostare nella battigia davanti allo stabilimento balneare per prendere il sole o per passare qualche ora in compagnia di altre persone. C’è una regola, infatti, che consente di poter fruire liberamente dello spazio che c’è nei primi 3 o 5 metri dal mare (distanza variabile a seconda delle zone).
Si è parlato tanto di durata e rinnovo delle concessioni balneari, una delle misure inserite nel ddl Concorrenza, sulla quale si è trovato un accordo a fine maggio, e non dovrebbero esserci altre proteste come sta accadendo in questi giorni per i taxi.
Metà delle coste italiane sottratto alla libera fruizione
Il problema riguardava lì concessionari e gestori, ma per il cittadino, qualsiasi sia la durata e il titolare della concessione, rimane il problema: oltre il 50% delle aree costiere sabbiose è sottratto alla libera e gratuita fruizione, come evidenziato da un report di Legambiente sulle spiagge italiane di un anno fa.
True News ha contattato Legambiente per chiedere se è previsto il rilascio anche quest’anno di un report con dati aggiornati al 2022, dall’associazione hanno risposto che per il momento sono in grado di dire se e quando sarà pubblicato. I dati più aggiornati sono quindi da considerarsi quelli presentati il 15 luglio dello scorso anno a Lecce.
Legambiente: record di stabilimenti in Liguria, Emilia-Romagna e Campania
Nel triennio 2018-2021 si è registrato un aumento esponenziale in tutte le Regioni delle concessioni balneari che nel 2021 erano 12.166 (contro le 10.812 degli ultimi dati del Demanio relativi al 2018) registrando un incremento del +12,5%.
Tra le regioni record ci sono Liguria, Emilia-Romagna e Campania con quasi il 70% dei lidi occupati da stabilimenti balneari. Altri decisi incrementi si registrano in Abruzzo con un salto degli stabilimenti da 647 nel 2018 a 891 nel 2021 e nelle regioni del sud a partire dalla Sicilia dove le concessioni per stabilimenti balneari sono passati da 438 nel 2018 a 620 nel 2021, con un aumento del +41,5%; seguita da Campania che registra un aumento del +22,8% e dalla Basilicata (+15%).
Il record in negativo di Diano Marina
Tra i comuni costieri, il record spetta a Gatteo (FC) è quello che ha tutte le spiagge in concessione, ma si toccano numeri incredibili anche a Pietrasanta (LU) con il 98,8% dei lidi in concessione, Camaiore (LU) 98,4%, Montignoso (MS) 97%, Laigueglia (SV) 92,5%, Rimini 90% e Cattolica 87%, Pescara 84%, Diano Marina (IM) con il 92,2% dove disponibili sono rimasti solo pochi metri in aree spesso degradate.
I canoni che si pagano per le concessioni, sottolinea il report di Legambiente, sono ovunque bassi e in alcune località di turismo di lusso risultano vergognosi a fronte di guadagni milionari. Ad esempio per le 59 concessioni del Comune di Arzachena, in Sardegna, lo Stato nel 2020 ha incassato di 19mila euro l’anno. Una media di circa 322 euro ciascuna l’anno.
In Italia quasi l’8% di coste non balneabili causa inquinamento
E poi c’è la questione legata alle coste non balneabili: complessivamente lungo la Penisola il 7,7% dei tratti di coste sabbiose è di fatto interdetto alla balneazione per ragioni di inquinamento. Sicilia e Campania contano in totale circa 55 km su 87 km interdetti a livello nazionale.
In assenza di una normativa nazionale, alcune regioni hanno stabilito quote minime del demanio marittimo da riservare a spiagge libere o libere attrezzate. La Puglia ha imposto una soglia minima del 60 per cento del litorale da destinare “a uso pubblico e alla libera balneazione”. Il Lazio impone ai comuni di “riservare alla pubblica fruizione” il 50 per cento del litorale.
Spiaggia libera o attrezzata, le quote minime stabilite dalle Regioni
La Liguria destina contributi ai comuni che riservano quote crescenti del litorale a spiaggia libera, ma le sue “Linee guida sul tema”, approvate con Dgr n. 512/2004, si limitano a prescrivere che ogni comune mantenga un’”estensione significativa di spiaggia libera”. Risultato? Il 69,9 per cento della costa sabbiosa ligure risulta occupata da stabilimenti balneari, campeggi, circoli sportivi e complessi turistici, con picchi del 92 per cento per Laigueglia e Diano Marina.
Tra le regioni la percentuale di spiagge libere è più alta in Molise (80,4%) e vede agli ultimi posti Campania, Emilia Romagna e Liguria, con percentuali rispettivamente del 31,9, del 30,5 e del 30,1.